L'ex senatore leghista Simone Pillon rischia una denuncia per estorsione: chiedeva soldi per non querelare chi lo contestava sui social
L'ex senatore leghista Simone Pillon potrebbe essere indagato per estorsione. Intenzionato a punire chiunque abbia osato esprimere la propria opinione dinnanzi alle sue continue provocazioni e alle sue incessanti offese contro i gay, l'ex senatore avrebbe incaricato un pool di avvocati di recapitare raccomandate a mezza Italia con richieste di risarcimento danni da 6 a 20 mila euro a chiunque venga da lui accusato di aver offeso la sua “illibata reputazione” sui social.
Alcuni avvocati dei destinatari di quelle richieste hanno deciso di presentare una querela alla Procura della Repubblica di Milano per i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e estorsione, a seconda di come deciderà l’Autorità Giudiziaria.
Una signora di 75 anni, a cui Pillon ha fatto recapitare le sue minacce, è addirittura stata ricoverata in ospedale dopo che a pressione le è schizzata a 240 alla lettura della missiva. E Pillon non è solo, dato che altri ex senatori e deputati appartenenti alla Lega, con il supporto di un avvocato civilista di Modena, utilizzano la paura e la minaccia di un procedimento penale per ottenere denaro da cittadini ignari della legge e delle procedure. Tutto ha avuto inizio circa un anno fa, quando l’ex senatore leghista Stefano Lucidi è stato il primo a tentare di ottenere un profitto andando a ripescare a ritroso post offensivi da poter monetizzare. Le oltre 680 lettere da lui inviate sono state spedite dallo Studio Legale Virgili, lo stesso che ora le manda con un testo identico a nome di Pillon.
Gli avvicati spiegano che «la raccomandata prospetta un pagamento, ove immediato, di 6mila euro ma se ritardato, scatterebbe una maggiorazione fino al 200%, per altro in un periodo storico in cui gli interessi legali sono nulli o poco più. Il ricevente, terrorizzato, si affretta a chiedere soldi in famiglia o alla banca. C’è chi ha chiesto mutui e finanziamenti perché le persone si spaventano, assimilano automaticamente la denuncia al carcere. Non sanno che per diffamazione nessuno finisce in prigione e, soprattutto, non sanno distinguere una lettera raccomandata da un atto giudiziale [...] Fin dal titolo della comunicazione: Risarcimento danni per diffamazione aggravata. Anche un neolaureato in giurisprudenza sa che le aggravanti e le attenuanti del caso non le decide l’avvocato ma un magistrato. Peraltro si tratta perlopiù di ingiurie (parolacce) che sono depenalizzate dal 2016. Vengono poi citate sentenze civili spacciandole per penali, così come le tabelle edittali: la diffamazione ha un massimo edittale, come multa, da 288 a 500 euro. Anche l’avvertimento della prescrizione in cinque anni è un dato volutamente falsato perché attiene al risarcimento del danno in sede civile. Ma nelle lettere si parla di una querela, il cui termine di deposito è novanta giorni dal fatto. Allora ricorrono all’espediente del “ritrovamento occasionale”, fingono cioè di aver scoperto i commenti dall’oggi al domani, ma sono mesi che pescano le potenziali vittime dallo stesso post. Ma è una mossa poco accorta: se ti accorgi oggi, che danno puoi avere ricevuto senza accorgertene? [...] La persona ingenua in buona fede che riceve la lettera si spaventa, non può certo sapere che ogni danno prospettato deve essere assolutamente provato e non solo ventilato. E con una connessione causa-effetto comprovata in maniera inequivocabile da certificazione clinica. Cosa ormai indimostrabile, peraltro, visto il tempo passato. Qui c’è solo il tentativo di terrorizzare le persone e di fargli passare la paura dietro monetizzazione».