La Cassazione rigetta il ricorso di Pillon e lo condanna in via definitiva per diffamazione verso un'associazione lgbt


La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall'ex senatore leghista Simone Pillon contro la condanna per diffamazione ai danni di un'associazione lgbt. Come nel caso della sua amica Silvana De Mari, da lui difesa in veste di avvocato, la condanna è ora definitiva.
Il caso riguarda le affermazioni diffamatorie che Pillon rilasciò contro l'associazione Omphalos LGBTI, da lui accusata di essere un'organizzazione di "adescatori di minorenni" che andava nelle scuole a "istigare all'omosessualità" o a distribuire "materiale pornografico". Affermazioni che i Giudici hanno constatato fossero "notizie non corrispondenti al vero sull'attività di informazione e di prevenzione delle malattie veneree svolte dall'associazione".
Per questo Pillon era stato condannato dalla Corte di Appello di Firenze a 1.500 euro di multa e ad una provvisionale di 30.000 euro di risarcimento danni all’associazione e ai suoi attivisti. La Cassazione ha stabilito anche che dovrà farsi carico pagamento di ulteriori spese legali a tutte le parti civili in causa.

«Siamo pienamente soddisfatti –ha dichiarato il presidente di Omphalos LGBTI, Stefano Bucaioni– Giustizia è fatta nei confronti di un personaggio che ha fatto dell’odio verso le persone LGBTQIA+ la sua ragione di battaglia politica. Con la sentenza di oggi la Corte di Cassazione mette una pietra tombale sulla vicenda confermando, senza altra possibilità di appello, la condanna di Pillon per le gravissime affermazioni che fece nei confronti di Omphalos e delle sue attiviste. Ora possiamo finalmente dire Pill-OFF.
Come abbiamo più volte ricordato, anche in occasione delle più recenti polemiche sul DDL Zan, nessuno nega al Sen. Pillon il diritto di esprimersi, per quanto medievali e fuori dal tempo possano essere le sue esternazioni. Ciò che il Sen. Pillon, e chiunque altro, non può fare è sostenere tali opinioni diffamando il lavoro delle associazioni LGBTQIA+ e raccontando il falso. Questa non può essere considerata critica politica, altrimenti sarebbe tutto permesso. Siamo soddisfatti che la Suprema Corte di Cassazione ci abbia dato nuovamente ragione e abbia ristabilito la verità e la giustizia in questa triste vicenda».
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