Nell'Italia della Meloni, essere antifascisti è diventato reato?


Nell'Italia di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, dove l'educazione sentimentale degli studenti viene affidata ad una suora vicina a Nicola Porro, pare che gridare "Viva l'Italia antifascista" in pubblico sia motivo di identificazione:



Marco Vizzardelli, giornalista di 65 anni che si occupa di ippica, ha spiegato che "a metà del primo atto si è avvicinato un individuo e ho capito che si trattava di un agente in borghese. Mi sono un po' spaventato e mi ha fatto un gesto di stare tranquillo". Poi, "alla fine dell'atto mi ha mostrato il tesserino e mi ha detto che voleva identificarmi ma gli ho risposto che non avevo fatto nulla di male e che non aveva nessun senso dato che siamo in un paese democratico". Nel corso dell'intervallo "sono andato nel foyer e lì mi hanno fermato in quattro: mi hanno detto che erano della Digos e che dovevano identificarmi. Ho ribadito che non aveva senso e poi l'ho buttata sul ridere, spiegando che avrebbero dovuto legarmi e arrestarmi se avessi detto 'viva l'Italia fascista'. Si sono messi a ridere anche loro ma mi han detto che dovevano fare così. E quindi mi hanno fotografato la carta d'identità".

Non è chiaro chi abba dato l'ordine di identificare l'uomo, reo di presunta apologia dell'antifascismo. Sul palco reale era presente anche La Russa, noto collezionista di busti del duce e Salvini, che anche oggi non si è presentato al processo che lui ha intentato contro Saviano.
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