Spettatori
Si è svolta oggi a Milano l'udienza lampo (solo 9 minuti) per il processo sul cosiddetto «Rubygate», la vicenda giudiziaria che vede coinvolto Silvio Berlusconi con le accuse di concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile. L'aspettativa di molti (racchiusa anche in un divertente video che in questi giorni sta spopolando per la rete) non è stata ripagata ed il tutto è stato rimandato al 31 marzo prossimo. Anche se non è detto che a quel giorno si arrivi: a pesare c'è del voto parlamentare di ieri sul conflitto di attribuzione (approvato alla Camera con 12 voti di scarto) che potrebbe permettere la presentazione di un'istanza ai giudici che chieda la sospensione del dibattimento in attesa di una decisione della Consulta.
Anche se a quella storia ben pochi ci credono (forse nessuno), è bastato che i nostri parlamentari si dicessero assolutamente certi del fatto che nella notte del 27 maggio 2010 il premier abbia telefonato in questura a Milano nella piena convinzione che Ruby fosse realmente la nipote di Mubarak (attribuendo quindi a quella chiamata un ruolo istituzionale) per rimescolare le carte e aprire la strada verso un possibile "nulla di fatto" fra rinvii, prescrizioni brevi o, magari, di qualche nuova legge (già in altre occasioni delle legge ad personam hanno sottratto Berlusconi dai suoi guai giudiziari).
E a poco importa se i suoi sostenitori e i suoi oppositori non potranno avere una risposta, sia essa l'estraneità ai fatti o la conferma delle accuse. Meglio non rischiare. Il fatto che il Paese possa rimanere nella sua attuale divisione fra le "tifoserie" e che agli elettori non verrà garantita chiarezza sull'operato degli eletti viene considerato solo un fatto marginale. Anzi, a preoccupare pare siano proprio le nuove intercettazioni pubblicate sui quotidiani, non tanto per la gravità di certe affermazioni («L'importante è che diverse persone testimonino che a noi aveva detto che aveva un'età diversa», «Speriamo che non venga fuori un casino» avrebbe detto Berlusconi alla Minetti) ma per il fatto che siano state diffuse. Il problema, dunque, non sono i fatti in sé ma la possibilità che i cittadini ne siano informati.
La recente presentazione un disegno di legge costituzionale -proposto da cinque senatori del Pdl e uno del Fli- per chiedere l'abolizione della XII norma transitoria e finale della Costituzione (ossia quella che vieta "la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto Partito fascista") non può che portare alla memoria quei tempi, tempi in cui si pensava che tutto andasse bene solo perché nessuno sapeva nulla del resto.
Eppure il consenso c'è, in diminuzione, ma c'è. Sembra il copione di una brutta telenovela, una di quelle in cui si mostra la vita dei ricchi per far sognare i poveri. Un qualcosa che alimenti il sentimento del tutto italiano di chi apprezza la “furbizia” commentandola con un «Fa bene, al suo posto farei lo stesso». E qualcuno così ha fatto, perlomeno è quanto emerge dai dati riguardanti l'aumento dell'dell'evasione fiscale e la conseguente diminuzione di chi paga le tasse seguendo le regole.
La politica è ormai vissuta come dialettica, omologazione, abitudine, tifoseria, fiction. Qualcosa di distante dalla vita, qualcosa che non interessa e che va guardare passivamente, da spettatori. Ed è proprio verso questo stato delle cose che Antonio Gramsci puntò il dito in una sua lettera del 1917: «L'indifferenza è il peso morto della storia. L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. [...] Tra l'assenteismo e l'indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente».