Picchiato perché gay va in ospedale e un infermiere gli consiglia di curarsi e di diventare etero


La storia di Claudio T., un ragazzo 28enne di Reggio Calabria, ha dell'incredibile. Dapprima è stato aggredito e picchiato nel centro cittadino da un branco di ragazzi e poi, giunto in ospedale per le prime cure (la prognosi è stata di 30 giorni), si è sentito consigliare da un infermiere di seguire una cura ormonale o di rivolgersi ad uno psicologo per diventare eterosessuale. Insomma, due tipi di omofobia e di violenza molto diversa nella forma, ma entrambi inaccettabili nella sostanza.
È lui stesso a raccontare a Repubblica la sua storia: «Mi trovavo in centro, in via del Torrione, davanti ad un locale, in compagnia dei miei amici. Stavamo chiacchierando, intorno all'una e trenta. A un certo punto sono venuti a provocarci quattro o cinque ragazzi. Reggio Calabria è piccola, ci conosciamo tutti, e loro sapevano il mio nome. Ci sfottevano e insultavano, ma inizialmente abbiamo cercato di ignorarli, facendo finta di niente. Dopo un po', però, mi sono stancato, ho risposto ad uno di loro, chiedendogli cosa volesse. Lui si è risentito, e mi ha detto di piantarla, perché altrimenti sarebbe finita male».
Dopo un po' il gruppetto si allontana ma inizia a lanciare insulti omofobi. «Noi non ci facciamo intimorire. Ma è allora che questi tornano indietro, verso di noi. Uno di loro si avvicina e mi fa: "Che ti guardi?". All'improvviso un ragazzo mi dà un pugno in faccia. Una cosa da vigliacchi, perché ha agito di lato, senza che io lo potessi vedere. Mi ha colpito al naso, facendomi sbattere la testa contro la vetrata del locale».
Il naso inizia a sanguinargli e gli amici chiamano il 113. Dopo poco arriva una volante e gli agenti raccolgono la sua testimonianza. Poi, intorno alle 2.30, Claudio viene accompagnato agli Ospedali Riuniti, ma è proprio qui che subisce una nuova umiliazione: «Mi trovavo nella stanza, insieme al medico e ad un infermiere. Era vestito con una divisa verde, aveva intorno ai 55 anni, e non ho ben capito perché stesse là a seguire il mio racconto. Prima inizia a dirmi che avrei dovuto rispondere con le mani a quei ragazzi e poi arriva a chiedermi se fossi mai stato con una ragazza».
A quel punto l'infermiere avrebbe commentato il tutto dicendogli che se fosse stato in compagnia di una ragazza non gli sarebbe successo nulla. Poi, prosegue il racconto della vittima, «Mi dice anche che secondo lui l'omosessualità è una questione di ormoni e che mi sarei dovuto rivolgere ad uno psicologo [...] Penso di essere più arrabbiato per quello che mi hanno detto in ospedale. Alle risatine e agli insulti, ormai, siamo abituati. E' la norma qui. E, conoscendo il mio carattere, sapevo che prima o poi una cosa del genere sarebbe successa. Ma mai mi sarei immaginato di sentirmi dire delle cose del genere in ospedale».
In una struttura ospedaliera, infatti, dovrebbe essere ben chiaro a tutti che l'omosessualità non è una malattia e che non c'è dunque nulla da curare.
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