Milano: i negozianti contro il Pride per 200 metri di strada chiusa al traffico


«Una misura assurda in questo periodo di gravissima crisi economica. In un momento in cui il commercio è in ginocchio, Pisapia sacrifica una giornata di shopping nell'area commerciale principale di Milano per consentire lo svolgimento di un ­carnevalata [...] Mi­lano ha bisogno di ben altro, non di Car­nevalate in piena estate». Così Riccardo De Corato (Fratelli d'Italia, ex vicesindaco ed attuale vicepresidente del Consiglio Comunale) torna a polemizzare sul Gay Pride di Milano e sulla scelta del sindaco di inibire il traffico veicolare nelle strade interessate dalla parata.
Un appello immediatamente accolto da Il Giornale che, oltre a dargli ampia visibilità, rilancia con un'intervista a Gabriel Meghna­gi dell'Ascobaires (l'associa­zione legata a Confcommer­cio che rappresenta i circa 350 esercizi di corso Buenos Aires).
«Per noi è un danno commerciale -afferma Meghna­gi- anche se siamo riusciti a ottenere che venga chiusa solo una parte del corso, da viale Re­gina Giovanna a piazza Ober­dan: 200 metri invece di 1,6 chilometri come era stato chiesto dagli organizzatori». Il problema, secondo Meghna­gi, è che «quella trentina di negozi che si trovano in quei 200 metri saranno penalizzati». È stato dato infatti il permesso di piazzare quattro pal­chi da quattro metri per quattro con musica che andrà dalle 17 fino a non si sa a che ora».
Già, probabilmente un vero dramma per quei negozi che si troveranno ad avere una folla oceanica all'esterno delle loro porte anziché una qualche automobile che difficilmente troverà parcheggio nelle vicinanze... e questo senza parlare di chi avrà nei bar ad acquistare un gelato o qualcosa da bere!
Ma Meghna­gi prosegue imperterrito: «Io non ho niente contro nessuno, ma ogni evento va fatto nel luogo adatto. Invece gli organizzatori hanno detto chiaro e tondo che volevano un luogo visibile a tutti. Tra l'altro hanno già avvisato di non scandalizzarsi perché fa caldo e quindi molti saranno a torso nudo».
Inutile dire che i negozi di Buenos Aires sono particolarmente fortunati a trovarsi in Italia: considerato che gran parte dei loro clienti sono gay, in un qualsiasi altra nazione simili affermazioni avrebbero probabilmente condotto ad un boicottaggio delle loro vendite. Perché non volere che i gay sfilino davanti alle proprie vetrine e pretendere che gli omosessuali siano solo clienti (privi di diritti ma dal portafoglio generoso) è un'insulto inaccettabile. Checché ne dica Il Giornale e i suoi lettori (tutti pronti a commentare l'articolo per sostenere che i gay non dovrebbero avere diritto a manifestare).
4 commenti