Dinnanzi ai giudici rivendica la legittima difesa: «Un prof gay avrebbe potuto abbracciare il figlio»


Ha evocato la «legittima difesa» del figlio minorenne temendo «che l'insegnante di inglese lo volesse abbracciare in quanto gay». È con queste motivazioni che una trentottenne cagliaritana ha spiegato ai giudici della Cassazione perché abbia telefonato alla segreteria della scuola per affermare che l'insegnante fosse gay e alla preside per insinuare che l'uomo fosse «gay e pedofilo». A far scatenare la sua ira sarebbero stati i richiami alla cattiva condotta del ragazzino da parte del docente.
I giudici hanno rigettato le sue richieste di attenuanti, dettate dal fatto che la donna fosse pronta a sostenere di aver agito nell'interesse del figlio, condannandola (così come già avvenuto con il verdetto emesso dal Tribunale di Cagliari nel 2012 e in quello del Giudice di pace nel 2011) ad una multa di 800 euro per aver tentato di colpire la reputazione del professore.
L'episodio, però, riporta a galla un'immagine di un'Italia che nel 2013 di mostra ancora retrograda e omofoba, pronta a giudicare le persone in base ai loro orientamenti sessuali (presunti e non) piuttosto che per i meriti.
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