Seoul: alcuni gruppi religiosi bloccano la norma anti-discriminazione, gli attivisti occupano il comune


È ormai da sabato scorso che numerosi attivisti lgbt appartenenti a venti associazioni diverse stanno portando avanti un sit-in di protesta presso il municipio di Seoul, in Corea del Sud. La loro rivendicazione è contro la presa di posizione del sindaco, Park Won-soon, che si è rifiutato di firmare una norma sui diritti umani approvata lo scorso novembre che, tra le altre cose, che avrebbe vietato la discriminazione basata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere nella capitale.
A risaldare gli animi è anche come il primo cittadino avesse inizialmente sostenuto la norma, salvo poi cambiare improvvisamente idea dopo alcuni incontri con dei gruppi cristiani protestanti. da quel momento ha iniziato a sostenere che l'abolizione della discriminazione porterebbe a dei «conflitti sociali», motivo per cui la promozione dei diritti umani sarebbe da ritenersi più negativa che positiva.
Se si considera come Won-soon abbia un passato da avvocato per i diritti umani e come solo pochi mesi fa avesse auspicato che la Corea potesse divenire la prima nazione asiatica a legalizzare i matrimoni fra persone dello stesso sesso, la sua posizione odierna appare quasi inspiegabile. Il tutto a meno di non cercare spiegazioni nelle parole che lui stesso ha pronunciato qualche mese fa in occasione di una manifestazione anti-gay tenutasi a Seoul: «Personalmente sono favorevole ai diritti degli omosessuali -dichiarò- ma la Chiesa protestante è davvero molto potente in Corea. Non è facile per i politici». Ai tempi aggiunge: «È compito degli attivisti chiedere che i diritti gay siano inclusi fra i diritti umani. Una volta che avranno persuaso la popolazione, i politici li seguiranno». Ed è forse proprio quello il motivo per cui oggi gli attivisti stanno cercando di spostare l'attenzione mediatica sul tema.
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