Gli ritirarono la patente perché gay. La Cassazione dispone un maxirisarcimento


La vicenda risale al 2001, quando un ragazzo si vide negato il rinnovo della patente perché gay. Dichiaratosi omosessuale durante la visita per il servizio di leva, venne richiamato dalla motorizzazione civile per un nuovo esame di idoneità psico-fisica. L'esito fu assurdo: la patente gli venne ritirata a causa di quello che veniva bollato come «gravi patologie che potrebbero risultare di pregiudizio per la sicurezza della guida».
Il giovane portò in tribunale i ministeri dei trasporti e della difesa, chiedendo 500mila euro di risarcimento. In primo grado i giudici gli diedero ragione e stabilirono un risarcimento di 100mila euro, poi ridotto dalla corte d'appello a soli 20mila dato che «l'illegittima diffusione dei dati afferenti all'identità sessuale» era rimasta «circoscritta ad ambito assai ristretto».
Oggi, a quasi quattordici anni di distanza dai fatti, la Cassazione ha sentenziato che: «Non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia». Poi, articolo 2 della Costituzione alla mano, i giudici hanno ricordato «il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale quale essenziale forma di realizzazione della propria personalità». La Corte d'appello dovrà ora fissare la cifra del maxi-risarcimento a beneficio del giovane.

«Una sentenza importantissima, che sottolinea la gravità dell'offesa omofobica riportandola al senso della nostra Carta costituzionale -ha dichiarato Flavio Romani, presidente nazionale di Arcigay- A chi voleva raccontare quella grave discriminazione come un incidente amministrativo oggi la Suprema Corte invia una risposta inequivocabile: la dignità delle persone è inviolabile ed è dovere della nostra Repubblica tutelarla. L'omofobia, di conseguenza, non ha cittadinanza nella nostra Costituzione e merita sanzioni esemplari. Rispetto a questo punto fermo il Parlamento italiano è del tutto latitante: lo dimostra non solo lo stallo sterile in cui giace il testo di legge contro l'omotransfobia ma anche il dibattito vergognoso che alla Camera dei deputati portó all'approvazione di quel testo. Un dibattito indimenticabile nella sua bassezza, nell'ostinato negazionismo, nell'evidente carico di omotrasfobia di cui era esso stesso testimonianza. Di questa sentenza, allora, è innanzitutto il Parlamento a dover fare tesoro, calendarizzando quanto prima il dibattito sulla legge contro l'omotransfobia in Senato e offrendoci perciò la prospettiva concreta dell'entrata in vigore di quella legge. Che non è un cavillo amministrativo, ci dice la Cassazione, ma l'indispensabile strumento di tutela della dignità di tantissimi italiani e italiane».
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