L'inchiesta di Pride su Islam ed omosessualità


È nel suo numero di marzo che il mensile Pride ha pubblicato un approfondimento dedicato ad omosessualità e Islam. È la prima volta che un media che lgbt decide di confrontarsi sul tema con i diretti interessati attraverso interviste ad alcuni esponenti di centri islamici italiani.
Dall'inchiesta di Massimo Basili emergono luci e ombre. Numerose associazioni islamiche hanno deciso di non rispondere alla richiesta di confronto e solo l'Associazione Islamica Imam Mahdi di Roma ha deciso di rispondere (seppur con un «Vi ringraziamo per averci contattato ma non abbiamo intenzione e interesse a rilasciare un'intervista al vostro giornale»). Al contrario hanno spiegato il loro punto di vista Yousseff Sbai, vicepresidente dell'UCOII (l'unione delle comunità islamiche d'Italia) e Davide Piccardo, coordinatore del CAIM (Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano).
Sbai ha dichiarato che «l'omofobia non ci coinvolge, le scelte sessuali degli individui sono privatissime e riguardano solo gli attori stessi di tali scelte. Siamo convinti infatti che qualsiasi "fobia" che ingeneri una discriminazione sia un'ingiustizia nei confronti delle creature e siamo certi che ci siano, o possano essere messi a punto, strumenti legali che concilino le esigenze di tutti». L'uomo si è però pronunciato contro il matrimonio gay dato che la tradizione musulmana ritiene il matrimonio un «sodalizio che possa essere stretto solo tra persone di sesso diverso e, pertanto, riteniamo che non sia questa la rivendicazione che si possa porre per garantire a tutti i cittadini e residenti pari diritti come previsto dalla Costituzione della Repubblica. Per quanto riguarda invece l'adozione da parte di coppie omogenitoriali, ci sembra una contraddizione in termini. La genitorialità è necessariamente etero e non soltanto da un punto di vista biologico, ma anche per le diverse competenze e sensibilità che devono concorrere allo sviluppo armonioso ed equilibrato della personalità di un bambino».
Per Davide Piccardo, «il messaggio dell'Islam sull'omosessualità è chiaro ed è di condanna, ma non riguarda la censura della persona omosessuale in quanto tale, quanto la disapprovazione delle pratiche omosessuali. È ovvio che la visione del credente non possa coincidere con le leggi di uno stato laico, dove prevale il rispetto che è compito di una società plurale e multietnica come è l'Italia [...] Non si può negare che nell'Islam i rapporti tra persone dello stesso sesso, come in molte altre confessioni religiose, siano considerati un peccato abbastanza grave: chi è credente e ha questo orientamento si trova senza dubbio in conflitto. Credo sia nostra premura non criminalizzare nessuno, però è ovvio che non si può stravolgere il messaggio di una religione. D'altro canto rispettiamo le persone nella loro individualità, senza escluderle né allontanarle e senza criminalizzare i comportamenti diversi dai precetti dell'Islam come può essere la scelta omosessuale».
Parlando di temi di stretta attualità, Piccardo precisa: «L'Isis, quando colpisce le persone per il loro credo o per il loro orientamento sessuale diverso, si colloca al di fuori dell'Islam: quei fanatici non hanno nessun titolo per rappresentarlo tutto e neppure per applicare in questi modi barbari la legge islamica». In merito alle unioni civili conclude: «Io personalmente sono a favore delle unioni civili e la possibilità di garantire parità di condizioni a tutte le persone al di là del loro orientamento sessuale. È una lacuna che andrebbe colmata, ed è dovere di uno stato democratico farlo. Invece sono contrario alla possibilità di adottare da parte delle coppie omosessuali, ma lo sono anche riguardo all'adozione per i single».
Per Stefano Bolognini, direttore di Pride, «quello pubblicato è un primissimo, se non il primo in assoluto, confronto che apre uno spiraglio sui sentimenti sull'omosessualità diffusi tra i mussulmani italiani. Da una parte c'è un richiamo al rispetto, che considero il minimo sindacale, dall'altra c’è però, e netta, una condanna all'omosessualità come peccato, con argomenti sovrapponibili sostanzialmente a quelli della Chiesa cattolica, che genera inutili sofferenze agli omosessuali islamici e rinforza il pregiudizio. Su questo le associazioni dovrebbero aprire un dibattito serrato, soprattutto quelle che hanno deciso di non parlare confrontarsi con un media gay come Pride. Non spetta alla religione, ma allo Stato fare le leggi, ma il benessere dei credenti e la lotta al pregiudizio passa anche da un atteggiamento più aperto e tollerante. Ci auguriamo che continui il confronto con le associazioni islamiche italiane, che si vedono limitare la possibilità di culto per una legge incostituzionale in Lombardia e che vivono sulla loro pelle il significato di discriminazione».
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