Associazione cristiana chiede che ogni insegnante possa decidere che cosa insegnare ai ragazzi


«Chi non è d'accordo pensa sempre che si tratti di una possibilità lontana. Un po' come l'Isis, per fare un paragone azzardato: lo si pensa sempre come un qualcosa di lontano, di esotico, mentre è già qui. Anche la riforma segreta, che introduce l'ideologia gender come materia obbligatoria, appare lontana, remota, assurda, ma è già, di fatto, nelle nostre classi». È quanto sostiene Nicoletta Di Giovanni, docente in una scuola pubblica di Rieti e membro dell'associazione Rete Liberale.
Se quell'associazione è pressoché sconosciuta, ad offrirle visibilità è la solita Nuova Bussola Quotidiana, evidentemente ingolosita alla proposta di uno sciopero destinato a tutti gli «insegnanti liberi e forti, intrappolati dentro il recinto di una istruzione monopolista statale, a vigilare con lo strumento del consenso informato alle famiglie e, se del caso, a resistere come insegnanti obiettori e a battersi anche contro il triste affine ddl Cirinnà».

La premessa è dunque che la Costituzione sia sbagliata nel garantire un'istruzione pubblica (qui bollata come come «monopolista statalista»), così come si sostiene che la scuola debba provvedere a contrastare un progetto sulle unioni civili che nulla ha a che fare con quell'ambiente. Non manca neppure l'invocazione ad un'obiezione di coscienza che dovrebbe permettere ad ogni professore di poter insegnare ciò che vuole sulla base delle proprie ideologie personali.

La signora Di Giovanni afferma:

Nelle scuole si inizia a percepire una notevole pressione: si introducono libri e manuali gender, linee guida, si è spinti a enfatizzare tutti i temi che riguardano il gender. I miei colleghi non ci credono, ma l'agenzia Unar rilascia comunicati, prepara compendi, con cui diffonde direttive ben precise. Si inseriscono attività para-scolastiche, come le giornate delle differenze, quelle contro i pregiudizi, quelle sull'identità di genere.

Finito di descrivere «l'enorme pressione» avvertita (ma a cui curiosamente i suoi collegi «non ci credono») e descritti scenari orribili come la lotta alla discriminazione e alla disuguaglianza (sia mai!) si candeggia l'ipotesi di uno «sciopero bianco» quale strumento di «resistenza quotidiana».

Si sostiene anche che sia possibile distinguere «un'educazione genuina» da un «indottrinamento gender» attraverso il linguaggio: «nei libretti che finora ci hanno proposto -dice- è sempre presente il messaggio che la famiglia non è solo e non è sempre quella con mamma e papà, ma anche quella con due papà, con due mamme, la famiglia multi-colore, il tutto fatto passare come un qualcosa di già acquisito. E i genitori, praticamente, non hanno scelta, perché la scuola è quasi tutta monopolio di Stato. Quindi non ci sarà alcuna possibilità di sottrarsi a questo tipo di educazione. Il problema è che gli insegnanti non se ne rendono conto, pensano che si tratti di un falso allarme, che la protesta eventuale sia una cosa assurda».

Stabilito come le famiglie multietniche e quelle gay non debbano meritare lo stesso rispetto della famiglie eterosessuali di pelle bianca, la signora Di Giovanni non manca di sostenere che lei si sta battendo nel nome della sua fede religiosa:

Io seguo il filone del cattolicesimo liberale che va da Rosmini a Don Sturzo fino a Dario Antiseri. Ma comunque non mi interessa neppure l'etichetta, mi interessa combattere contro il genderismo, che è la nuova incarnazione dello statalismo. Prima di tutto intendo difendere la libertà di insegnamento, che con questa riforma ci viene negata. Ma, soprattutto, si deve difendere la famiglia, che è l'ultimo baluardo della società aperta: mutuo soccorso, risparmio, auto-governo. L'ideologia gender tende a sradicare la famiglia e, come la storia insegna, nel tentativo di distruggerla si arriva sempre ad un regime dittatoriale, per il semplice motivo che per negare la natura ci vuole un grande potere, che solo le dittature posseggono grazie alla forza della legge.

Evidentemente la signora pare essersi dimenticata di come l'Articolo 33 della Costituzione stabilisca che: «La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». Vien da sé, dunque, che un insegnante non possa decidere in autonomia cosa dire e cosa nascondere ai propri allievi.
3 commenti