Secondo i cattolici, è una «visione di parte» il sostenere che la donna non sia inferiore all'uomo


Da Mario Adinolfi a Provita Onlune e da Tempi a La manif pour tous, l'integralismo cattolico era compatto nel chiedere che i politici cattolici facessero cadere il governo pur di impedire l'approvazione di una riforma della scuola che contenesse «l'educazione di gender».
Eppure bastava leggere le norme indicate per accorgersi che non si stesse neppure parlando di educazione al rispetto dell'identità di genere, ma semplicemente di contrasto alla violenza sulle donne. È bastato parlarne per scatenare le ire de la La manif pour tous. Ci hanno accusato di «diffamazione», ci hanno minacciato e hanno spergiurato che «nessuno dei punti contestati riguarda la violenza». Ovviamente anche tutti i loro seguaci si sono schierati dalla loro parte (forse senza neppure prendersi la briga di informarsi) e anche lì è stata una pioggia di insulti.

Eppure anche Il Timone pare confermare i nostri timori attraverso la pubblicazione di una lettera indirizzata a Il Sussidiario. L'articolo spiega molto chiaramente come il problema sia l'applicazione del "Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere":

L'individuazione di un presunto carattere antropologico nella violenza maschile contro le donne, conferma una specifica visione che vede nella naturale differenza maschio-femmina, l'origine di disuguaglianze e di violenze causate da stereotipi eterosessisti che il piano, con la sua programmazione didattico-educativa, si prefigge appunto di superare. Fatta salva la liceità di tale visione, non si può negare che si tratti di una visione di parte e che la sua assunzione, da parte degli organi dello Stato, quale visione unica da inculcare nei bambini e nei ragazzi attraverso il sistema pubblico di istruzione, comporti per lo Stato stesso la perdita del suo ruolo di super partes, garante della democratica convivenza della pluralità delle idee, ed il suo conseguente pericoloso trasformarsi da stato democratico a stato etico.

Quindi non è esatto dire che «nessuno dei punti contestati riguarda la violenza», casomai si sta contestando la modalità scelta per contrastarli. L'articolo racconta infatti che che:

Ecco alcuni passaggi del suddetto Piano di azione: "Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell'essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini". "Nella definizione di percorsi formativi sensibili al genere, gli obiettivi da perseguire dovranno prevedere la rivalutazione dei saperi di genere…".

Il riassunto proposto è al limite dell'imbarazzante perché non è altro che un taglia e cuci di frasi decontestualizzate prese addirittura da capitoli diversi (clicca qui per leggere il documento integrale). La prima frase viene ben spiegata nell'allegato B del documento, nel quale si chiarisce la necessità di «eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini».
Il solo sostenere che questi siano obiettivi «di parte» dovrebbe metterci in guardia su quale siano le rivendicazioni di questi gruppi. Eppure appare impossibile che non abbiano letto quelle frasi dato che la seconda citazione è stratta proprio dallo stesso allegato. Riguardo a quel punto, l'articolo de Il Timone ci tiene a sostenere che:

Occorre ribadire che per identità di genere non si intende l'identità sessuale (essere maschio o femmina, legato al dato biologico), ma la percezione soggettiva ("sentirsi" maschio o femmina) di appartenere ad un dato genere, a prescindere dal sesso biologico.

Se sarebbe anche auspicabile il vedere la trattazione di temi legati all'identità di genere all'interno delle scuole, non è certo quella la norma che lo prevede. Il testo integrale pone quella frase in riferimento alla legge 128/2013 e, quindi, in merito alla formazione dei docenti. In altre parole, il Governo sostiene che un professore debba essere informato su quelle tematiche per sapere come gestire eventuali studenti lgbt che frequentassero la sua classe.
Da qui appare evidente come la richiesta dell'integralismo cattolico sia quella di pretendere che la scuola non combatta gli stereotipi che possano portare a considerare la donna inferiore all'uomo e che i docenti non siano formati per conoscere tematiche legate all'identità di genere dei propri studenti. La sensazione è che si voglia difendere il sensismo e l'omofobia da parte del corpo docenti.

L'articolo si conclude poi con una frase che ben racchiude come a muovere tali richieste non siano fantomatiche lezioni sull'identità di genere (auspicabili ma non incluse nella norma così come da loro sostenuto) ma un vero e proprio odio verso i gay. Si afferma:

Nelle scuole italiane, l'educazione di genere è già in atto e viene affidata ad associazioni, come il circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", accreditate presso il Miur quali enti di formazione. Chi era Mario Mieli? Un giovane che scrisse, tra le altre cose, che "la società repressiva e la morale dominante considerano "normale" soltanto l'eterosessualità e, in particolare, la genitalità eterosessuale".

La richiesta finale ha dell'aberrante perché pare rivendicare una scuola che debba insegnare a vedere gli omosessuali come persone anormali. Il tutto infischiandosene della realtà dei fatti (l'omosessualità è normale!) e basando l'indottrinamento dei giovani sulla base di meri pregiudizi.
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