Le motivazioni tragicomiche con cui un lettore di Famiglia Cristiana spiega perché sia contrario ai matrimoni gay


L'integralismo cattolico non vuole assolutamente che nelle scuole si parli di omosessualità. Il motivo è forse evidente, dato che l'omofobia è frutto dell'ignoranza e l'informazione rischierebbe di intaccare il terreno che gli sta permettendo di sopravvivere attraverso la vendida dell'odio sottoforma di propaganda o giornali.
Ma a farci comprendere meglio la gravità della situazione è una lettera inviata a Famiglia Cristian, in cui un loro lettore si scaglia contro l'apertura della rivista al riconoscimento di un'unione civile fra persone dello stesso sesso.

L'assurdità dei dati citati e delle tesi sostenute è talmente evidente che non vale neppure la pena commentarle, così come evidente è la ricerca di termini che possano ledere la dignità altrui nel sostenere che le maggioranze debbano sopraffare le minoranze:

Caro don Antonio, mi riferisco a una sua espressione: «Prendere atto della realtà, ma la famiglia è un’altra cosa». Ebbene, su questo importante tema delle unioni omosessuali e relative richieste di diritti, si sta dibattendo da troppo tempo ma, a mio avviso, in maniera incompleta. Si fanno sfilate penose di “orgoglio gay” e, di contro, manifestazioni a difesa della famiglia tradizionale. Si parla di “progresso”, modernità, referendum vari, democrazia. Si contrappongono idee politiche, ma poco si parla di quale sia il vero problema. E di come affrontarlo nella sua interezza.
È indubbio, anzitutto, che si debba condannare l’omofobia nelle sue varie forme. E che alcuni diritti debbano essere riconosciuti alle coppie omosessuali, autorizzando modi e nomi di unioni che non siano però equiparati alla famiglia. Ma, detto ciò, su due punti bisognerebbe essere inflessibili: il fenomeno delle unioni omosessuali è o non è naturale? E i diritti, sono tutti comunque tali? Ho letto una statistica secondo la quale le persone che nascono con turbe della sessualità non sono più del tre per cento della popolazione. La maggior parte, invece, diventano tali per problemi connessi con comportamenti genitoriali: padri iper rigidi, madri sottomesse. O anche per accesi contrasti familiari. Vi sono, poi, quelli che lo diventano per abitudine o per “moda”, e sono gli stessi che vediamo sfilare in pose carnevalesche ai “gay pride”.
Se questa statistica è attendibile, come mai non si pensa che per affrontare questo problema occorrerebbe –ancora una volta– puntare sull’educazione e sulla formazione alla relazione familiare? Questo è il vero punto! Così, il problema degli omosessuali resterebbe ancora più circoscritto e non sarebbe un interesse di massa, come sembra stia diventando. Ma di questo non se ne parla, spesso nemmeno nelle parrocchie.
Infine, per quanto riguarda i diritti, fatto salvo quello di professare liberamente il loro amore, è giusto che le coppie omosessuali vogliano avere dei figli, essere chiamati “famiglia” e imporre la teoria del gender anche nelle scuole? A mio parere, non tutto si può riconoscere come un “diritto”. Altrimenti, anche chi nasce “menomato” vorrebbe pretendere il diritto a camminare o ad avere figli comunque e a qualsiasi età, a prescindere dalle conseguenze che questi suoi desideri possono avere su altri esseri umani. Va bene la comprensione nei confronti di tutti, ma non bisogna cedere alla voglia di diritti a ogni costo. Nel nome di un malinteso “progresso”.

Dinnanzi a tesi simili, inevitabile è anche domandarsi dove abbia letto quelle sciocchezze e da dove derivi il suo sostenere che l'omosessualità sia «un problema». Sino a prova contraria la vita altrui non è un problema a meno che non lo si voglia far diventare tale. E in entrambi i casi la risposta pare riconducibile sempre alla stessa fonte, ossia a quell'integralismo religioso che crea pensieri così distorti pur di trarne un profitto.
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