Adinolfi si lancia in paragoni fra gender e mafia: da buon imbonitore difende il proprio prodotto


«"L'ideologia gender non esiste". In Sicilia riconoscere i mafiosi dal fatto che dicano "la mafia non esiste". Potete credere loro. O guardare la realtà». È quanto scrive Mario Adinolfi sul proprio profilo Facebook.
Ecco dunque che uno fra i massimi ideologi dell'isteria gender accorre in soccorso della propria creatura e tenta di sostenere una bufala con le solite tesi componentistiche. Al solito c'è un «loro» da temere e al solito non c'è alcuna argomentazione che vada al di là del &laqueo;è vero perché lo dico io». Non poteva poi mancare un vile paragone con la mafia, ossia con un qualcosa che possa incutere timore e che possa essere identificata con il male.

L'impressione è di essere dinnanzi a chi non sa più che carte giocarsi pur di difendere la bufala che lo ha riportato alle luci della ribalta. Sappiamo come l'intera carriera di Adinolfi sia costellata di continui fallimenti: è durato poco sia come opinionista di Barbara d'Urso che come politico e il suo settimanale The Week (incentrato sul sostenere che gli anziani non dovessero avere ruoli rilevanti nella società) non ha certo ottenuto un grande successo. Persino il suo affermare di essere stato tra i fondatori del Partito Democratico non dovrebbe essere da lui considerato come un vanto, dato che la sua presenza nell'assemblea era legata esclusivamente alla sua auto-candidatura alle primarie del 2007 (ma le preferenze da lui raccolte furono solo 5.906).
Nel 2011 si disse favorevole alla pregiudiziale di costituzionalità sollevata in Parlamento contro la proposta di legge per l'introduzione di un'aggravante ai crimini d'odio legati all'omofobia. Ironizzò sulle discriminazioni a cui vanno incontro i gay e suggerì aggravanti contro la «ciccionofobia». Quel rantolo omofobo lo portarono ad avere una calda risposta da parte del movimento anti-gay e non è da escludersi che sia in quel momento che abbia intravisto le potenzialità di quel mercato dell'odio (poi cavalcato appieno nel 2014 con l'uscita del libro "Voglio la mamma" e con la fondazione del quotidiano La Croce).
La ripetizione sistematica di frasi fatte e l'appoggio incondizionato a qualunque campagna potesse ledere la dignità delle persone lgbt lo portarono a divenire un frontman dell'odio. La chiesa lo voleva per fomentare la discriminazione le trasmissioni televisive iniziarono a richiamarlo come fenomeno da baraccone da poter esibire in rappresentanza dell'integralismo.

Ecco dunque che per lui diventa essenziale che la gente abbia paura del gender. Si è dinnanzi all'imbonitore che difende il prodotto venduto, anche se dopo anni di propaganda ci si trova dinnanzi a chi semina la paura sulla base del «lo dico io, è così». Un po' poco per risultare credibili.
Se dovessimo analizzare il suo paragone, potremmo tranquillamente osservare che nel caso della mafia esistono processi, fotografie, testimonianze... e persino pomposi funerali hollywoodiani in chiesa. Ma nel caso del gender non c'è un solo documento che propoga di «eliminare la differenza fra i sessi» così come da lui sostenuto, tant'è che anche le rivendicazioni proposte non hanno nulla anche vedere con la causa denunciata: non si chiede di sospendere questo o quell'altro corso specifico, ma inizia a sparare a zero nel mucchio sostenendo la necessità di impedire i matrimoni gay, l'indifferenza dinnanzi alla violenza e la privazione di diritti per i figli altrui. Insomma, si parla di tutt'altro.
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