Rodotà: «La "formazione sociale specifica" è un travisamento della Costituzione»


È dalle pagine di Repubblica che Stefano Rodotà spiega perché il Senato stia tradendo la Costituzione nel proporre una legge sulle unioni civile così ricca di distinguo da apparire discriminatoria. Il politico e giurista scrive:

Nella ricerca affannosa di un compromesso, si è fatto riferimento alla formula “formazione sociale specifica” per segnare una distinzione tra queste coppie e quelle eterosessuali unite in matrimonio. Ma questo espediente semantico è una forzatura, perché di formazioni sociali parla l’articolo 2 della Costituzione e sotto questa espressione stanno tutte le coppie, come peraltro aveva messo in evidenza, nel 2010, la Corte costituzionale. «Per formazione sociale s’intende ogni forma di comunità, semplice o complessa. Idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia».
Sono parole non equivoche e quelle sottolineate mettono in chiara evidenza che, in un quadro di dichiarato pluralismo, famiglia e quelle che oggi chiamiamo “ unioni civili” appartengono alla stessa categoria. Inventarsi la “formazione sociale specifica” è un travisamento della Costituzione e la sua vera finalità, dovendo avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, non è quella di introdurre una distinzione, ma di riaffermare una discriminazione.

Dopo aver notato come la sentenza emessa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti si basi sull'irrinunciabile premessa che «di fronte ai diritti fondamentali della persona la politica deve essere capace di non rimanere prigioniera delle proprie convenienze, pena la propria delegittimazione e l'intervento di altri organi costituzionali», Rodotà parla anche della recente condanna dell'Italia per violazione dei diritti umani in merito al mancato riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso. Il suo parere è che:

Ora il Parlamento non è libero di riconoscere o no le unioni tra persone dello stesso sesso (l’Italia è già stata condannata a risarcire i danni alle coppie che hanno fatto ricorso a Strasburgo). Decidendo all’unanimità, la Corte europea ha sottolineato che siamo in presenza di diritti dal cui effettivo riconoscimento dipendono l’identità, la dignità sociale, la vita stessa delle persone. Il legislatore italiano ha il “dovere positivo” di intervenire e la sua discrezionalità è ristretta, poiché ormai la maggioranza dei paesi del Consiglio d’Europa (24 su 47) ha già garantito quei diritti. L’importanza della questione discende dal fatto che siamo di fronte a diritti dai quali dipende la vita delle persone, che non può essere lasciata nell’incertezza o affidata a semplici patti privati o regole patrimoniali. Solo così può essere avviata la cancellazione di una inammissibile discriminazione, fondata com’è solo sull’orientamento sessuale.
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