Il caporedattore di Adinolfi sostiene sia meglio morire che accettare l'omosessualità


Giovanni Marco Tullio è il caporedattore de "La Croce" nonché un collaboratore fisso di "Aleteia". La sua unica preoccupazione pare sia quella di occuparsi di ciò che gli altri fanno nel loro letto, non senza astenersi dal classificare le persone sulla base sull'attività sessuale quale unico elemento che debba davvero contare. Non stupisce, dunque, che lo si possa incontrare intento a santificare quelli che lui sostiene siano martiri dell'eterosessualità.
In un lungo e noioso articolo intitolato "Alcuni santi, invece, non erano gay", l'integralista pare disposto a tutto pur di sfruttare il bigottismo religioso come strumento di promozione dell'odio:

Che darei, per essere stamattina alla messa mattutina di padre Martin James! Alla sua latitudine, tra poco dovrebbe suonargli la sveglia: si alzerà, si preparerà e scenderà in cappella. Lì troverà il messale e lo aprirà sul santorale al 3 giugno. Leggerà: «Santi Carlo Lwanga e compagni, martiri». E subito, in rosso: «Memoria».

Dopo aver sostenuto che la sua massima ambizione sia quella di poter sfruttare quei due martiri come un oggetto di promozione dell'omofobia (di fatto insultando la loro memoria) l'integralista incalza:

Furono i primi martiri (i primi noti, perlomeno) a testimoniare Cristo a sud del Sahara in tempi moderni: furono uccisi in Uganda fra il 15 novembre 1885 e il 27 gennaio 1887. La loro memoria è stata fissata proprio il 3 giugno perché in quel giorno, nell’anno 1886, il loro capofila – Carlo Lwanga – fu arso vivo. E chi erano costoro? E come mai furono condannati a una fine tanto atroce?
Erano paggi alla corte di re Mwanga, e Carlo, primo paggio alla suddetta corte, si negò alla concupiscenza contro natura del sovrano. Non solo: difese dalle sudicie mani del re i suoi compagni, che andavano dai 13 ai 30 anni.

È a quel punto che Giovanni Marco Tullio sfodera l'adinolfiniana abitudine a cambiare il significato alle parole, sostenendo che si sia dinnanzi a due «omofobi trucidati da un gay». Ovviamente non c'è motivo di parlare di omofobia dinnanzi a chi rifiutò prestazioni sessuali ad un sovrano così come uso di quei tempi. Ma evidentemente si vuol far passare il messaggio che un re che avesse abusato delle sue schiave sarebbe risultato gradito a Dio in virtù della sua eterosessualità, ma i gay vanno sempre e solo descritti come persone malvagie che parlano di quell'omofobia che Adinolfi sostiene non esista.
Per raggiungere il suo scopo, l'integralista si dice convinto che il compito dei cristiani sia solo quello di sentenziare condanne morali contro il prossimo, rinnegando quel Gesù che invitava a non giudicare. Scrive l'integralista:

Non si trattava di mero “pudore personale”, ma di una questione di legame con Gesù Cristo, Carlo Lwanga esortò molte volte il re perché desistesse da quella condotta perversa e abbracciasse anche lui la fede che salva – la sola. La risposta fu lo stillicidio di morte che stamattina, alla vigilia della Pentecoste, commemoriamo. E anzi dovremmo batterci il petto, di fronte a questi fratelli, per la vergogna con cui noi – che nulla rischiamo – ci vergogniamo di loro che – rischiando e perdendo tutto – non si vergognarono di Cristo.

Sostenuto che l'unico problema della tirannia sia nell'orientamento sessuale del singolo sovrano, si passa al dichiarare che tutti i papi abbiano celebrato l'eterosessualità dei suoi due eroi:

E dopo di lui Giovanni Paolo II e Francesco ripeterono devotamente il viaggio sul luogo del rogo di Carlo Lwanga, il “martire omofobo”, direbbero ormai i giornali… laddove invece il santo dimostrò di non avere più paura dell’omosessualità che della morte.

Tutto questo pare un lungo preambolo utile solo a sostenere che il Papa sbagli nel citare il messaggio di Gesù piuttosto che promuovere quel'intolleranza che sarebbe risultata assai più utiĺe alle mire dei gruppi neofascisti:

Che fine fa dunque l’adagio “chi sono io per giudicare?”, che resterà forse come (indegno) sottotitolo del pontificato argentino (così come “non abbiate paura” fu la scolorita didascalia del pontificato polacco)?
Nessuna fine, evidentemente, solo un’applicazione pedissequa: re Mwanga non era certo un uomo «che ha buona volontà e che cerca Dio». Era semplicemente un depravato incallito, come ce ne sono tanti anche oggi. Uno che in forza della sua posizione di potere ha assoggettato molti altri alle proprie brame – e gli è andata sempre bene, finché non ha incontrato gente liberata da Cristo. Persone che neppure l’hanno giudicato – ogni “non ti è lecito” dei cristiani è sempre un messaggio di salvezza – ma che anzi sono state da lui giudicate e condannate alle morti peggiori. Sta di fatto che, sulla pira incendiata, Carlo Lwanga disse: «Voi mi state ardendo vivo, ma è come se mi gettaste addosso secchiate d’acqua fresca». La fede…

Ovviamente si potrebbe anche notare come l'odio di Adinolfi sia quello di chi cerca una poltrona e non certo di chi cerca Dio, ma evidente è come ogni asserzione dell'articolo si basi sul sostenere che l'odio contro i gay sarebbe l'unico dogma della sua opinabile concezione del cristianesimo.

La violenza verbale cresce con un elogio a chi nega che i gay esistano o chi ama dichiarare che debbano essere "curati". Il tutto citando anche le immancabili tesi omofobe create da Silvana De Mari, ormai un vero e proprio messia per i seguaci dell'odio omofobico:

Per questo avrei tanto voluto ascoltare la predica di padre Martin: perché lo vedo oltremodo facondo nello spiegare non cedere all’odio. Sono sicuro che anche lui sia personalmente grato al martirio di Carlo Lwanga e compagni. Tra dieci giorni uscirà il suo libro sul “ponte da costruire” tra la Chiesa cattolica e la “comunità LGBT” (i miei amici di Courage direbbero: «Non esiste alcuna “comunità LGBT”: esiste gente che si cerca e si incontra per avere rapporti omoerotici promiscui»). C’è anche la prefazione del cardinal Kevin Joseph Farrell: di sicuro la porpora romana, segno della disponibilità di chi ne è insignito a versare il sangue per la fede, confermerà il Magistero di chi il sangue, per la fede, l’ha già versato. Davvero.
Chissà che bella omelia farà, tra poco, il nuovo consultore per la Segreteria per le Comunicazioni della Santa Sede! Mi spiace tanto di dovermela perdere, per cause di forza maggiore…

L'ira omofoba prosegue incessante nel rifiutare qualunque dissenso dal pensiero promosso da Adinolfi, magari dopo aver infilato nella bocca del Papa parole mai pronunciate:

E se invece l’omelia non fosse bella? Se addirittura non la facesse? Se con la scusa della messa vespertina di Pentecoste neppure celebrasse messa, stamattina? Beh, stenterei a crederlo, ma dovrei prenderne atto: un giorno racconteremo i nomi e i cognomi della “lobby gay” in Vaticano, che Papa Francesco stesso ha esplicitamente ammesso essere all’opera. E solo i disinformati o chi è in malafede potrà addossare al Santo Padre certe responsabilità: io so da fonte di prima mano che quando, periodicamente, Papa Bergoglio sfronda quest’idra d’apostasia convoca l’epurando e gli dice, seccamente: Lei da ora non lavorerà più qui in Vaticano. E lei sa perché.
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