Così Facebook ha silenziato la nostra battaglia per i diritti lgbt


La protagonista di questa storia è la pagina Facebook di Gayburg, un sito che da oltre un decennio si occupa della difesa dei diritti lgbt.
Non si sa con esattezza cosa sia accaduto: non c'è stata alcuna comunicazione o notifica. Persino tutte le richieste di chiarimenti sono rimaste inevase. Si sa solo che dal 13 settembre scorso, senza alcun apparente motivo, la quasi totalità dei post pubblicati sulla pagina non sono più stati distribuiti sulle bacheche degli utenti iscritti. Neppure a chi aveva espressamente richiesto la consegna in via preferenziale.
Pare difficile pensare ad una qualche casualità dell'algoritmo a fronte di 114 articoli su 122 che hanno raggiunto solo tre o quattro utenti su oltre 17mila iscritti.
Qualcuno potrebbe pensare che si sia voluto arrecare un qualche danno al sito, ma in realtà il danno maggiore è per quegli utenti a cui viene negato l'accesso alle informazioni che avevano richiesto.

Come tutti i siti impegnati nella difesa dei diritti umani, anche Gayburg ha i suoi nemici e non è la prima volta che il sito è vittima di segnalazioni di massa da parte di gruppi organizzati. Nel dicembre del 2015 si arrivò addirittura ad un oscuramento che suscitò indignazione anche nella stampa straniera. L'ipotesi che qualche segnalazione possa essere arrivata anche in questo caso è avvalorata da come il 19 e 21 settembre siano giunte due notifiche di provvedimenti disciplinari contro due profili che gestivano la pagina. Due messaggi atipici che notificavano la rimozione di un contenuto senza fornire le consuete indicazioni sul materiale rimosso. Apparentemente pare che in entambi i casi i provvedimenti abbiano riguardato un articolo in cui si criticava la censura di Facebook nei confronti del libro fotografico di Antonio Mocciola, ossia un volume in cui 120 frasi omofobe sono state scritte sulla pelle di chi ne è vittima.
Ed ancora, il 26 settembre è stato recapitato un messaggio in cui si asseriva: «Perderai l'accesso a tutte le funzioni di monetizzazione se non risolvi le violazioni entro 30 giorni». Ma anche in questo caso non è stato dato conto di quali sarebbero quelle presunte «violazioni» che inibirebbero un servizio di remunerazione che peraltro non è mai stato usato o richiesto dalla pagina. Lo scenario è dunque tragicomico: è come se un giudice pretendesse delle giustificazioni dall'imputato senza volergli dire di che cosa è accusato.

Lo scenario che ne emerge è a dir poco inquietante. Un vero e proprio esempio di quella che potrebbe essere la censura del futuro. Siamo dinnanzi ad un sito che detiene una posizione dominante sul mercato che, di punto in bianco, può decidere di negare ai propri utenti l'accesso alle informazioni da loro richieste. Ed è una fortuna che Gayburg non sia un sito commerciale dato che un simile atto, apparentemente ingiustificato ed inappellabile, potrebbe significare il capolinea per chiunque debba rendere conto del numero di visitatori.
Questo è quanto, perlomeno sino a quando Facebook non riterrà di fornire una qualche spiegazione alternativa sul perché abbia silenziato una voce che gli utenti avevano scelto di ascoltare.

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