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La Cassazione sentenzia che i rifugiati gay vanno accolti se a rischio nei loro Paesi d'origine

Con buona pace per quella Giorgia Merloni e quel Matteo Salvini che non perdono mai occasione per riaffermare che loro se ne fragano della vita altrui in nome del loro spacciarsi opinabilmente per «cristiani», la Corte di Cassazione ha sancito che un rifugiato gay non può essere respinto se a rischio nel proprio Paese d'origine.
La suprema corte ha infatti accolto il ricorso presentato da un cittadino della Costa d’Avorio, coniugato e padre di due figli, Bakayoko, che era divenuto diventato oggetto «di disprezzo e accuse da parte di sua moglie e di suo padre», imam del villaggio, «dopo aver intrattenuto una relazione omosessuale».
E già. Anche in questo caso pare non sia valsa la teoria di Silvana De Mari sul fatto che i gay debbano essere costretti a fingersi etero perché così staranno meglio, confermando l'ovvietà di come la dialettica integralista sia solo mera menzogna confezionata ad arte per ingannare quei bigotti che venderebbero loro madre pur di ascoltare qualcuno che legittimi i loro più perversi pregiudizi.
Il rifugiato si era visto negare il diritto di poter rimanere in Italia perché «in Costa d’Avorio l’omosessualità non è considerata un reato, né lo Stato presenta una condizione di conflitto armato o violenza diffusa». Ma la Corte ha precisato che non basta osservare l'assenza di leggi omofobe, ma bisogna anche verificare che le autorità del luogo apprestino «adeguata tutela» per i gay, soprattutto quando perseguitati dalla loro stessa famiglia.


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