Davanti al leghista Spirlì che vuol essere chiamato «fr*cio», Zan ricorda gli adolescenti uccisi da quella parola


Sarà che i gay di destra devono umiliarsi se vogliono essere accettati dai leghisti, ma è da voltastomaco che il vicepresidente leghista della Calabria possa invitare gli intolleranti ad usare termini omofobi per apostrofare i gay. Sarà che se non si fosse fatto chiamate "checca", forse non avrebbe mai lavorato per Il Giornale o non avrebbe ottenuto candidature nel partito di Salvini, ma questo non lo legittima a promuovere intolleranza contro interi gruppi sociali.
Alessandro Zan parla di «parole che lasciano noi senza parole. E senza parole hanno lasciato, talvolta per sempre, chi ne è stato vittima. Perché ci sono ragazzi che il peso dell’omofobia, il peso delle parole, non lo hanno retto. Ci sono ragazzi che, dopo esseri stati chiamati “fro*io” per l’ennesima volta, hanno deciso di farla finita, talvolta buttandosi sotto un treno, talvolta impiccandosi, talvolta lanciandosi dal terrazzo di casa. E lo stesso vale per chi, ancora oggi, a causa di individui come il vicepresidente calabrese della Lega Nino Spirlì, deve vivere persino la propria pelle come un marchio di infamia. “Era una boutade”, “era solo ironia”, “era solo una battuta”, quante volte l’abbiamo sentita? Quante volte chi l’odio lo ha professato si è nascosto dietro queste parole?».
E dato che la Lega e Jole Santelli non hanno ritenuto di dover prendere le distanze da quelle parole inaccettabili, è a loro che Zan rivolge un appello: «Tutto questo non è più tollerabile. Non è più tollerabile per tutti quei ragazzi che le conseguenze dell’odio le vivono nella propria quotidianità, sulla propria pelle e nel proprio animo. Non solo chiediamo che Nino Spirlì si dimetta da vicepresidente della giunta regionale calabrese. Chiediamo che sia il segretario della Lega Matteo Salvini a dimissionarlo e a prenderne le distanze: il silenzio è complice».
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