La storia di Marsha P. Johnson


Era l'estate del 1969 quando polizia di New York fece irruzione in un locale gay chiamato Stonewall Inn nel Greenwich village. Era successo già tante volte, ma quella volta i clienti decisero di reagire.
La prima persona a ribellarsi fu una donna transgender di nome Marsha P. Johnson. Prese un cicchetto e lo tirò contro uno specchio. Fu l'inizio delle cinque giornate di protesta che cambiarono il mondo, dando vita al movimento gay moderno.
Se Marina Terragni vuole che le donne transgender siano lasciate indietro una volta che lei si è accaparrata per sé stessa tutti i diritti che quelle donne gli hanno garantito o se Nino Spirlì definisce «bracconate» quelle manifestazioni che gli hanno permesso di fare carriera al posto di essere ucciso ed abbandonato in un qualche fosso, Marsha ha cambiato il mondo. Lo ha fatto indossando un abito vietato dalla legge, salendo in metropolitana ed andando a ballare in un locale sul crinale dell'illegalità con altri uomini. Anche il ballare con altri uomini era illegale, ma lei ballò fino all'una di notte. Ballò con altri reietti dalla collettività e ragazzi che erano stati abbandonati dalle loro famiglie perché non conformi allo stereotipo di maschio incaricato di ingravidare donne sostenuto dal leghista Pillon. Voleva ballare, nulla di più, ma i Gandolfini dell'epoca dicevano non dovesse poterlo fare perché a loro non stava bene.
Arrivò la retata. Come ogni mese, gli agenti volevano frugare nelle mutande di ogni persona vestita da donna per verificare se i genitali corrispondevano. Avrebbero poi mandato sul furgone chiunque non fosse ritenuto conforme agli stereotipi promossi ancor oggi da Sara Reho. Essere arrestati significata essere fotografati e messi alla gogna, un po' come Salvini ama fare sulla sua paginetta Facebook. Tutte loro sarebbero state schedate per “cross-dressing”, le loro famiglie sarebbero state informate e si sarebbe ottenuto il loro licenziamento e il loro disonore.
Marsha P. Johnson non si mise in fila. Lei si tolse i tacchi e li scagliò contro un poliziotto, resistendo all’arresto. Fu una regina della strada a dare vita q quella rivolta che cambiò il mondo. Non se n'è rimasta «a casa e zitta» come il leghista Spirlì dice avrebbe dovuto fare.
Quindi non fatevi fregare da un Jacopo Coghe che starnazza in faccia si suoi figli che per lui il pride è una «carnevalata». Fu quel carnevale a garantirci la libertà che oggi lui e le lobby che lo finanziano vorrebbe toglierci. Ed è in virtù della storia che va rigettato il carnevalesco ddl Salvini che tenta solo di creare tensioni suggerendo che chi ha avuto diritti potrebbe accontentarsi di un qualche contentino solo se se accetterà di abbandonare per strada chi ha fatto la rivoluzione.
Perché non furono certo i gay borghesi alla Platinette a dare inizio al cambiamento, dato che la sua parrocchia è stata pensata per suscitare ilarità, mentre con il suo copricapo fiorito Marsha è e resterà per sempre favolosa.
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