Il partito di Adinolfi si spacca sui vaccini e si domandano se i bambini siano oggetti di proprietà del padre


È frattura all'interno del partito di Mario Adinoilfi, intento a dibattere se i figli debbano essere considerati una proprietà del padre e se si possa disporre di loro a proprio piacimento anche contro la loro volontà o contro i loro diritti.
Mentre Adinolfi ripete ossessivamente che lui non si è vaccinato e che lui strizza l'occhio ai no-vax. il suo Mirko De Carli se n'è uscito con una supercazzola in cui paragona i vaccini all'aborto. Ovviamente ricorrendo ai soliti termini coniati dalla propaganda integralista in cui i pro-chiose diventano improbabili "pro-aborto", l'esponente adonolfiniano di Ravenna scrive:



In realtà un genitore non può costringere un minore all'aborto, come non può obbligarlo a partorire senza che un giudice intervenga e valuti i fatti. Ma il paragone non pare avere alcuna attinenza col tema, ossia sul diritto di un minore a poter essere tutelato anche se i suoi genitori sono negazionisti e preferiscono la propaganda che trovano su Facebook al parere medico.

Ed è così che i suoi proseliti si mettono a ripetere la propaganda neofascista, insultando il loro leader perché osa pensare che dei bambini possano avere dei diritti. E sia mai che poi passi l'idea che i bambini hanno dei diritti e che un padre omofobo non possa opporsi all'identità sessuale dei suoi figli o al loro benessere come hanno fatto quei personaggi che Pillon e Adinolpi dipingono come "eroi" dell'eterosessualismo:





Dopo il battibecco, De Carli si gioca la carta di Eluana Englaro. Dice che lui condanna un padre che si è battuto perché a sua figlia fosse concessa una morte dignitosa dopo 17 in coma vegetativo. Puntando il suo dito inquisitorio, afferma persino che il padre la volesse morta "il prima possibile" nonostante quei 17 anni non potevano essere considerati vita. Ed è così che dai vaccini si passa al loro sostenere che il genitore benna imporsi solo quando è omofobo, ma non quando vuole tutelare la figlia:



Dal "dibattito" emerge chiaramente una confusione tra la realtà oggettiva e slogan coniati sulla semplificazione, con gli adinolfiniani che si danno battaglia tra loro riducendo ogni tema al classico: "gli altri dovrebbero essere obbligati a fare quello che viglio io". A loro non passa neppure nell'anticamera del cervello l'ipotesi che ognuno possa essere libero di vivere come crede, in quel cercare costanti tentativi di imporre le loro regole.
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