La Cei si scaglia contro la sentenza di Grosseto: «È contro la nostra tradizione culturale»


Dopo aver praticamente ordinato il blocco dei progetti anti-omofobia nelle scuole italiane, la Cei è tornata all'attacco del mondo gay prendendo posizione contro la sentenza pronunciata ieri dal tribunale di Grosseto. I giudici avevano infatti imposto al comune la trascrizione di un matrimonio contratto a New York da due uomini.
«Tale decisione -hanno tuonato i vescovi- rischia di essere travolto uno dei pilastri fondamentali dell'istituto matrimoniale, radicato nella nostra tradizione culturale, riconosciuto e garantito nel nostro ordinamento costituzionale. Il matrimonio è l'unione tra un uomo e una donna, che in forma pubblica si uniscono stabilmente, con un'apertura alla vita e all'educazione dei figli».
Ecco dunque che attraverso una nuova ingerenza si cerca di attribuire ai termini costituzionali una definizione contraria a quella definita dagli organi competetti dello stato (che sin dal 2010 hanno più volte ribadito la piena costituzionalità delle uomini gay, denunciando un vuoto legislativo che ne permetta la celebrazione).
Il problema è che spesso l'Italia appare come uno stato tutt'altro che laico e il peso politico dei vescovi sembra assai più sentito della volontà di garantire pari diritti ad ogni cittadino, ancor più in vista dell'imminente campagna elettorale per le elezioni europee (durante la quale l'omofobia verrà sicuramente usata da qualcuno per ottenere voti).
Anche il procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, ha annunciato che impugnerà la sentenza e che cercherà di impedire che l'unione fra i due uomini possa essere riconosciuta.
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