Chi difende i bambini da Adinolfi?


Partiamo da qui: l'immagine in apertura è stata pubblicata su Facebook da Mario Adinolfi, pronto a sostenere che il piccolo (che nella fotografia originale non è censurato) lo abbia abbracciato e gli abbia detto: «Grazie perché mi difendi». Da cosa o da chi non è specificato, ma appare sottinteso che nella sua conferenza abbia raccontato la necessità di «difendere» i bambini da qulla che lui ama chiamare offensivamente «gaystapo».
Peccato che già di per sé è difficile non rimanere scioccati nell'osservare la fotografia di un minorenne sbattuta lì solo per far pubblicità al proprio giornale. Non a caso, perlomeno sul piano del maeketing, Adinolfi appare sempre molto attento a cogliere qualunque occasione per vedere uno dei suoi prodotti: i suoi circoli omofobi sono una pubblicità gratuita al suo pessimo libro, il suo intervento al convegno lombardo è stata occasione per chiedere l'acquisto del suo orrendo giornale e, come vediamo ora, i bambini sono vittime sacrificabili all'ideologia per una qualche forma di autopromozione.

Ricorrendo al suo solito vittimismo, è dalle pagine di Tempi che Adinolfi ha affermato: «Appena si è diffusa la voce del successo del tour sono cominciati anche i guai: contestazioni pesanti, manifesti minacciosi che invitavano a non presentarsi in determinate città, migliaia di insulti a settimana recapitati via social network, offese pesantissime ai miei familiari a partire da mia moglie e senza risparmiare le mie due figlie. A ogni tappa arrivavamo non prima di aver avvertito la Digos dei nostri spostamenti, tutelati all'ingresso dell'evento da uno spiegamento di forze dell'ordine che ha toccato nelle città più a rischio il picco di sessanta agenti e cinque mezzi blindati. Per proteggere semplicemente la nostra libertà di parola».
Insomma, i gay sono violenti e pericolosi al punto che serve la Digon per evitare il peggio. Ma se davvero credesse a ciò che afferma, perché mai esporre volontariamente un minorenne alla mercé di persone che si sostiene siano violente e possano rappresentare un reale rischio? Non era forse lui a sostenere di coler «difendere» i bambini?

Probabilmente anche Adinolfi è perfettamente consapevole di come sue certe affermazioni servano solo ad ottenere visibilità: in fondo il mercato dell'omofobia è sempre stato fiorente e fare carriera fra i promotori d'odio non è certo così complesso. Se così non fosse, di certo non si capirebbe perché mai qualcuno possa lamentare fantomatici rischi per i propri familiari senza sentire il dovere di proteggerli dal clamore mediatico. Eppure sulle sue pagine indica chiaramente l'indirizzo di casa sua, distribuisce le foto dei suoi figli e mostra il volto della moglie. Ma chi davvero sostiene di credere all'esistenza di una fantomatica e violenta «gaystapo» sarebbe pronto ad indicare con precisione dove possibili malintenzionati debbano recarsi per imbattersi nei suoi familiari?
E questo senza entrare in una considerazione ancor più semplice. Adinolfi continua a sostenere che i gay sarebbero pessimi genitori, ma quanti gay avrebbero evitato di pubblicare fotografie che dessero in pasto a dei perfetti sconosciuti le immagini della figlia nuda o associata a doppi sensi di dubbio gusto? I due aspetti addirittura convivano nella fotografia che ieri ha portato Facebook a decidere la sospensione del suo account: lì Adinolfi si mostrava nudo all'età di due anni con tanto di commenti con riferimenti alla lunghezza del suo pene (che in quel caso risultavano rivolti al pene di un bambino di due anni!, ndr).
In quest'uso commerciale dei minorenni Adinolfi non appare solo: anche il presidente della Manif Pour Tous Italia pare non si sia fatto problemi a rendere pubblico il volto del «giovanissimo fratello» con l'unico obiettivo di promuovere il giornale dell'amico (e naturalmente anche lui non perde occasione per affermare di voler solo «difendere» i bambini, ndr).

Se poi il minorenne è gay, si assiste ad una vera e propria forma di bullismo. Il 3 febbraio scorso Adinolfi ha rispolverato la vecchia storia dell'insegnante di religione che è andata in casse a raccontare ad un alunno gay che l'omosessualità poteva essere curata. In quella sede Adinolfi non manca di beatificare l'insegnante (così come è solito fare con chiunque leda la dignità della comunità lgbt) e nel lanciarsi in veri e propri attacchi denigratori nei confronti di un minorenne che non esita a definire «uno studente mitomane». Peccato che i punti più gravi della storia riportata dal giovane sia praticamente gli stessi confermati dall'insegnante, indipendentemente dalla diversa visione riguardo alla necessità di andare in scuole pubbliche a sostenere la validità di fantomatiche terapie disconosciute dalla scienza.
Però Adinolfi non ci sta. Non gli va bene che un ragazzo abbia potuto raccontare l'accaduto e non accetta che possa aver avuto un nove in condotta. Ed allora, quasi dovesse far notare che lui ha un giornale ed il minorenne no, si lancia in un attacco che possa "punire" quel giovane attraverso l'istigazione all'odio nei suoi confronti da parte dei suoi adepti.

Passando ad un esame della linea editoriale, non passa inosservato come la modalità comunicativa di Adinolfi non sia mai cambiata. Nel 2010 lanciò il fallimentare The Week. A quell'epoca preferì giocare a fare il super-giovane anziché l'omfobo, ma anche allora tutti i lanci editoriali erano inesorabilmente contro qualcuno: il nemico era ravvisato nei genitori (troppo vecchi per un super-giovane) o nei politici (pure loro un ostacolo alla sua gioventù).
Se oggi fa precedere vari nomi dall'appellativo «omosessuale», ai tempi utilizzava l'età come ptrefisso che potesse dare una connotazione negativa al soggetto (c'era il «settantenne Umberto Bossi» o il «settantacinquenne Silvio Berlusconi»). Se oggi cita vescovi ultrasettantenni, ai tempi sparava a zero contro una «classe dirigente vecchia e poco preparata» che «ci temono, sanno che siamo più preparata di loro, e hanno paura di dover abbandonare le poltrone dalle quali non vogliono alzare il loro culo flaccido!».
Insomma, è cambiato il nemico ma non è cambiato il suo ritenersi dalla parte giusta in una guerra ideologica governata dall'insulto, dalla volgarità e dalla volontà di denigrare l'altro.

Adinolfi ama auto-proclamarsi «nemico dei gay» quasi fosse uno slogan pubblicitario, ma a far davvero paura non è tanto lui quanto i suoi seguaci: gente così assetata da una legittimazione alla discriminazione da non sentirsi raggirati dinnanzi a chi gli dice che la «la difesa» della famiglia ha un prezzo e quel prezzo è il costo del suo giornale. Non si accorge che chi sostiene di voler «difendere» la famiglia naturale di famiglie ne ha due (esposte peraltro alla mercé di chiunque). Non commenta se chi dice di muovere i propri passi guidato dalle parole del papa pare non aver problemi ad ignorarle se ad essere toccati sono i propri interessi (come nel caso del gioco d'azzardo, espressamente condannato dal pontefice).
Insomma, se il punto non fosse la legittimazione dell'odio ma le tesi sostenute, il loro leader rappresenterebbe l'antitesi di ogni valore. Eppure viene plaudito e nessuno si lamenta se abbia reso commercializzabile un simbolo cristiano come la croce.
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