Giorgio Ponte si è offeso: «Eravamo molti di più di un milione»


«Un milione. Praticamente l'intera popolazione di Palermo e hinterland radunata in un unico luogo, spalla a spalla, per una volta insieme [...] Eravamo davvero un milione? No. Eravamo molti di più». Così Giorgio Ponte apre un articolo apparso su La Croce di Mario Adinolfi.
Com'è noto, il professore di religione è impegnato nel chiedere che solo le famiglie eterosessuali possano avere diritti e riconoscimenti civili, così come il suo percepire la propria omosessualità abbia cause psicologiche lo ha reso l'idolo dei cattolici. E cosa c'è di meglio di un uomo che odia sé stesso per sostenere che siano i gay (la maggioranza dei gay, dice Ponte) chiedano di essere trattati come persone inferiori?

Ovviamente una persona come Adinolfi non si è certo tirato indietro nel dargli continuamente spazio, evidentemente certo che avrebbe contribuito alla sua propaganda omofoba. Peccato, però, che non ci sia un solo intervento in cui il professore paia disposto ad accettare la reale (non solo chi è, ma anche come funziona il mondo). Ed è così che a fronte di una piazza che per stressa ammissione di Kiko non avrebbe potuto contenere più di 300mila persona, lui è certo che lì ve ne fosse più di un milione. Ed è certo che nel loro nome bisognerebbe calpestare i diritti degli altri.
Ma non solo, incurante di come si siano viste ostentazioni di crocefissi, preghiere collettive, continui riferimenti a Dio, Ponte sostiene di sentirsi offeso da chi parla di una piazza cattolica. C'era l'Imam, dice. C'era pure il rabbino! Poco chiaro è se due figure pronte a sostenere una linea politica omofoba dovrebbero cambiare le carte, ma lui ci tiene a dire che i gay che contano erano al Family Day:

Io, Adamo Creato, Cristoforo libero e tutti quei fratelli e sorelle con tendenze omosessuali, che vivono nel segreto e nella paura, senza ancora riuscire ad alzare la testa per affermare che esistono e che con i movimenti gay non hanno niente a che fare. C’eravamo anche noi lì, a dire con la nostra presenza che non ci stiamo ad essere privati del nostro essere uomini e donne, in nome di un non meglio definito orientamento sessuale. Perché noi sappiamo bene cosa genera la confusione dei sessi, e di quella confusione portiamo i segni impressi nella carne.

Poi passa a sostenere che è inutile voler classificare i presenti, dato che «in piazza c’era l’Italia». Ed ancora:

L’Italia che nessuno vuole ascoltare, quella che ancora ha il coraggio di prendersi responsabilità, che lotta per restare unita, per non cedere alla disperazione del lavoro che non c’è, delle tasse che sono troppe, di un mondo che le chiede di rassegnarsi, di parcheggiarsi, di arrendersi. L’Italia che vive ai margini, che ha bisogno di un aiuto per crescere i propri figli, perché non ha ancora perso il coraggio di farli, questi figli, nonostante tutto. L’Italia dei soggetti più deboli, quelli veri. Quelli che “quando sono deboli è allora che sono forti”.
In altre parole, l’Italia delle famiglie.

Se non è chiaro se si intenda sostenere che Adinolfi sarà lavoro e benessere, altrettanto poco chiaro è anche la posizione stessa di Ponte. Considerato il suo impegno nel chiedere che i suoi affetti non vengano considerato una famiglia, allora che ci faceva in piazza se lì c'era l'Italia delle famiglie?
E in che modo La Croce e Ponte spiegano perché milioni di famiglie non fossero lì e abbiano scelto di schierarsi per l'uguaglianza? L'impressione è che la realtà, tutta la realtà, sia intesa come unq ualcosa di plasmabile per il propri scopi e per la più becera propaganda.
12 commenti