I bambini non sono giocattoli


Il 20 giugno prossimo l'integralismo cattolico scenderà in piazza per chiedere che i diritti non siano uguali per tutti e che ogni genitori abbia il diritto a poter educare come meglio crede i propri figli, in particolar modo riguardo alla sessualità e all'omofobia.
Si sostiene che le scuole non possano proporre programmi in cui si parli di verità scientifiche qualora un genitore preferisca inculcare dei pregiudizi ai propri figli, così come la CEI è in prima fila nel chiedere che un genitore convinto che l'uso del preservativo sia un peccato debba avere il diritto di tacere sui rischi del suo mancato utilizzo. Al limite la prole si beccherà una qualche brutta malattia, ma si sostiene che un genitore debba avere il diritto di poter giocare con la vita dei propri figli.
Allo stesso modo si sostiene che un genitore scontento dell'orientamento sessuale del figlio debba poterlo sottoporre a torture prive di ogni fondamento scientifico, sperando di riuscire ad inculcargli sufficiente odio verso sé stesso da spingerli a rinnegare la propria sessualità. Gli effetti più comuni sono la depressione cronica e in alcuni casi anche la propensione al suicidio ma, come già detto, per l'integralismo cattolico questo è un diritto.

Vien da sé che i bambini non siano visti come esseri umani, ma come giocattoli nelle mani dei loro genitori. Si chiede che il ruolo di genitore conferisca il diritto di scegliere cosa debbano pensare o essere, sino al negare che possano esserci differenze specifiche che facciano scostare la prole dallo stereotipo che si aveva in mente. Sogni e ambizioni individuali are non debbano contare: ciò che conta è solo la volontà dei genitori.

Nel lanciare tali richieste, i cattolici si appellano all'articolo 26 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che stabilisce come «I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli».
Questo perlomeno è quanto viene sostenuto nei modelli prestampati con cui La Manif pour tous tenta di minacciare gli istituti scolastici che dovessero adottare i piani ministeriali per il contrasto dell'omofobia e degli stereotipi di genere. Peccato, però, che quella sia una citazione avulsa da un contesto.
Il riferimento di quella frase è al terzo comma dell'Articolo 13 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il quale chiarisce che: «gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali, di scegliere per i figli scuole diverse da quelle istituite dalle autorità pubbliche, purché conformi ai requisiti fondamentali che possono essere prescritti o approvati dallo Stato in materia di istruzione, e di curare l'educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni».
Da notare è come nel documento i figli siano «soggetti» e non «oggetti», sottolineando come sia necessario agire sempre nel «superiore interesse dei bambini», come proclama l'articolo 3 della citata Convenzione internazionale. In altre parole, ai diritti dei bambini non corrispondono tanto i diritti dei genitori quanto i loro doveri.
Inoltre, se è pur vero che vi è una tutela per la liberà religiosa, c'è anche un riferimento ai «requisiti fondamentali» decisi dallo stato. Gli stessi requisiti che appaiono sanciti dall'articolo 33 della Costituzione italiana, nel quale si precisa come «la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione».
L'articolo 3 aggiunge poi come «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Pare dunque che lo stato non solo abbia il diritto, ma il dovere di impedire che l'omofobia o il bigottismo di un genitore possano impedire ai figli di crescere liberi dai pregiudizi. Poi saranno loro a decidere chi vorranno diventare.

Un esempio concreto di questo questo ci arriva da quanto avviene normalmente negli ospedali. Se un minore ha bisogno di una trasduzione per poter sopravvivere e il genitore nega il consenso perché è un Testimone di Geova, i medici sono soliti rivolgersi ad un giudice che provvederà revocare la patria podestà nel nome dell'interesse del minore a sopravvivere. Tutto ciò avviene da anni sena che la Manif pour tous abbia mai sentito la necessità di lamentarsene. Perché mai il discorso dovrebbe cambiare se si tratta di infliggere torture ai bambini nel nome dell'omofobia e dell'ignoranza di alcuni integralisti cattolici?
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