A Mario Adinolfi non piace la democrazia e la libertà di opinione altrui


Mario Adinolti è tornato ad attaccarci, ancora una volta ricorrendo alla più bieca diffamazione (anche se ormai ci siamo abituati a beccarci le sue offese e false accuse). Questa volta la sua ira è stata suscitata dall'appello che invitava a segnalare la propria indignazione allo IAP dinnanzi alle vergognose affermazioni contenute che l'associazione ProVita ha pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera. Ed è così che sulla sua pagina Facebook ha scritto:

Solidarietà a Toni Brandi e Provita, segnalati all'Autorithy da Gayburg (sì, quelli che volevano vedere mia figlia "penzolare da un cappio"), per una pagina pubblicitaria a difesa della famiglia contro il ddl Cirinnà. Istigando gli Lgbt a denunciare Provita e la redazione del Corriere della Sera a rifiutare l'inserzione, viene dimostrata ancora una volta l'essenza liberticida e l'attitudine al totalitarismo che circonda la battaglia per i "diritti civili". Al cui fondo resta il sapore orwelliano della negazione violenta della libertà di parola. Migliaia di messaggi pro gender inondano tutti i media ogni minuto, con spazi totalmente negati ai messaggi prolife e a difesa della famiglia naturale. Nonostante questo, si infuriano per ogni atto di resistenza. Non avevano previsto che avremmo resistito e sono fuori di sé.

Partiamo con una doverosa precisazione: nessun articolo apparso su Gayburg ha MAI detto di voler vedere sua figlia morta. Mai! L'affermazione appare dunque falsa e gravemente diffamatoria (peraltro ribadita con accuse ancor più gravi e infondate fra i commenti). Inoltre caso vuole che improvvisamente l'account di Gayburg non risulti più abilitato a poter inviare messaggi sulla sua pagina, quasi come se qualcuno avesse pensato bene di esercitare un blocco preventivo dinnanzi a possibili precisazioni o al semplice diritto di replica garantito dalle leggi italiane.
Detto questo, veniamo alle rivendicazioni di Adinolfi. Il direttore de La Croce parla di «azioni liberticide» e di «attitudine al totalitarismo» dinnanzi a quello che è un semplice esercizio di un diritto. Esiste un ente a cui ogni cittadino (lui compreso) ha la possibilità di segnalare pubblicità che si reputano inopportune, poi una commissione valuterà se quella segnalazione meriti provvedimenti o meno.
Tutto qui: esistono delle regole e si chiede all'arbitro di verificare se siano state rispettate. In fondo anche lui può tranquillamente fare lo stesso qualora ritenga che una pubblicità leda la sua dignità o presenti informazioni fasulle (in democrazia dovrebbe funzionare così, con pari diritti per tutti).

Ovviamente capiamo benissimo che le regole sono sgradite soprattutto a chi vive di disinformazione e di menzogne, ma senza quelle regole si finirebbe nell'anarchia. È un po' come la questione dei cookie: dal 2 giugno scorso è divenuto obbligatorio chiedere un consenso esplicito e molti di voi avranno notato come i siti italiani si siano adoperati per adempiere a quelle nuove regola attraverso l'inserimento di quelle fastidiose fascette. Poi c'è il sito di Adinolfi, il quale già alla prima visita spara 13 cookie di terze parti senza alcuna informativa. Ecco dunque che c'è una legge, c'è chi la rispetta e c'è chi se ne frega. Ma chi è dalla parte del torto?

Interessante notare anche da che pulpito giunga l'attacco. Adinolfi sostiene che una semplice spiegazione delle modalità con cui poter effettuare una segnalazione sia da intendersi come una «istigazione». Eppure quando qualcun altro inviava messaggi minatori in cui si paventavano possibili punizioni divine a chiunque non avesse preso parte al loro family day, caso vuole che non abbia avuto nulla da ridire. Inoltre basta una semplice ricerca su Google per individuare ben 118 occorrenze associate al suo profilo che fanno uso della locuzione «io rivendico». Una volta tanto che sono gli altri a rivendicare qualcosa, non va più bene? Crede di vivere già nella dittatura del pensiero unico che la sua parte politica vorrebbe riportare in essere con la reintroduzione di un nuovo nazismo?

In conclusione sarebbe bene ricordare anche che la menzogna non è un «atto di resistenza», ma un atto vile (nel caso specifico, pure pericolosa dato che migliaia di ragazzi rischiano di essere spinti all'infelicità da un rifiuto che potrebbe giungere da genitori indottrinati alla discriminazione). Ed altrettanto doveroso è ricordare ad Adinolfi che una famiglia gay è una «famiglia naturale» tanto quanto la sua (e se crede che Dio abbia sbagliato a creare i gay, la prossima volta gli faccia presente presente che si reputi migliore di lui, ma lasci in pace le nuove generazioni che non meritano di essere discriminate dalle famiglie solo perché lui deve vendere il suo pessimo giornale).
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