Arrivano gli immancabili insulti di Adinolfi a Paola Egonu


Dato che sono ormai anni che Mario Adinolfi insiste nel voler perseguita Paola Egonu, ritenendo di doverla insultare gratuitamente come atto di ritorsione verso la sua sessualità e il colore della sua pelle, non stupisce che il partecipante ai raduni neofascisti meditasse da giorni un attacco al monologo della pallavolista. E se Salvini lanciava minacce, il fondamentalista romano ha preferito ripiegare su insulti immotivati che trasudano odio:



Adinolfi non chiarisce perché Paola Egonu sarebbe una «ingrata», anche sa è probabile lo dica solo per insultare il suo aver dichiarato di essere grata all'Italia. Mica è come Adinolfi che è figlio di una madre extracomunitaria e pretende di rompere le scatole agli italiani per imporre la sua discutibile ideologia.
E dato che il benaltrismo piace alle destre, Adinofli la accusa di non aver parlato abbastanza del popolo turco. Curioso, dato che Adinolfi ha parlato di quanto lui disprezzi Sanremo, di quanto lui disprezzi i vaccini, di quanto lui disprezzi la pornografia, ma sulla sua timeline non pare aver mai trovato un solo secondo per parlare del popolo turco. Ma dall'altro del suo silenzio social dice, che chi ne parla non lo farebbe abbastanza.

E dato che qualcuno ha notato il suo silenzio. Adinoli ha detto che per i turchi basta quello che lui dice a ByoBlu, perché davanti al grande pubblico è più importante insultare le pallavoliste di colore:



E se è vero che Adinolfi ama parlare di cose che non conosce, curioso è come si dica offeso da chi parla della propria esperienza quasi ritenesse odioso ascoltare le testimonianze al posto di inventarsi ciò che lui sostiene gli altri dovrebbero pensare.

«Questa sera -ha spiegato la Egonu sul palco dell'Ariston- non sono qui a dare lezioni di vita, perché alla mia età sono più le cose che posso imparare di quelle che posso insegnare. Cerco di ricavare da ogni giorno un insegnamento e così è stato anche nelle settimane di avvicinamento al Festival. Spesso in passato sono stata definita ermetica, così nel tempo mi sono impegnata a raccontarmi di più, provando a ridurre al minimo lo spazio di interpretazione. Questo non ha evitato comunque che alcune frasi venissero strappate dal contesto, tagliate, incollate in senso casuale e fiondate sui giornali come titoli usati per far rumore.
Sono la prima di tre fratelli, e devo tutto a mamma Eunice e papà Ambrose. Sono loro che mi hanno permesso di vivere un'infanzia felice, che mi hanno sostenuta e che mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi guadagnartela. Senza temere i sacrifici. Mi hanno aiutata a trovare il mio percorso, anche se questo ha significato per loro vedermi andare via di casa a 13 anni. Non sono madre, sogno di diventarlo un giorno, ma sono certa che nessun genitore sia felice che la propria figlia cresca lontana dal suo amore e dal suo sguardo. Grazie mamma, grazie papà, che per amore verso di me, avete rinunciato a me. Certo, le vostre carezze e le vostre attenzioni mi sono mancate e continuano a mancarmi. Ma sapevo, sapevamo e so che questa è la mia strada».
Da bambina si chiedeva «perché sono alta? Perché mio nonno vive in Nigeria? Perché mi chiedono se sono italiana?». Poi, diventando più grande, «i perché sono continuati. Perché mi sento diversa? Perché vivo questa cosa come una colpa? Perché ogni volta mi sono punita dando una versione sbagliata di me stessa? Con il tempo ho capito che questa mia diversità è la mia unicità. E che nella domanda "Perché io sono io?" c'è già anche la risposta: "Perché io sono io".
Io sono quella che quando oggi ancora mi fanno una domanda sul razzismo, rispondo così: Prendete dei bicchieri di vari colori e metteteci dentro l'acqua. Vedrete che la maggior parte delle persone sceglierà il bicchiere trasparente, solo perché il suo contenuto è più limpido. Eppure se proverete a bere da uno dei bicchieri colorati, scoprirete che l'acqua ha sempre lo stesso gusto, fresco e vita, perché siamo tutti uguali oltre le apparenze».
«Gioco in attacco e il mio obiettivo è quello di riuscire ad avere tra le mani la palla decisiva da schiacciare, quella che farà punto. A volte ci riesco, altre volte sbaglio e sto imparando ad accettare l'errore». Crescere vuol dire imparare «a dare il giusto peso alle critiche». Ed alle accuse vittimismo e di di mancanza di rispetto per il suo Paese, risponde con forza: «Amo l'Italia, vesto con orgoglio quella maglia azzurra che per me è la più bella del mondo e ho un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo Paese in cui ripongo tutte le mie speranze di domani».
Aver sbagliato in tante finali, ha detto ancora, «non fa di me una perdente. Cosi come non è perdente chi a scuola prende il voto più basso e non è perdente chi non riesce a realizzare il proprio sogno al primo colpo. E poi, visto che siamo a Sanremo, non è perdente nemmeno chi arriva nelle ultime posizioni in classifica». Il riferimento è a Vasco Rossi, che nel 1983 arrivò penultimo. «Un altro non perdente, che ci ha insegnato che dalle sconfitte più dure possono nascere i successi più grandi. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso».

Queste sono le parole da cui Adinolfi si dice infastidito.
Commenti