Il Vaticano: «Essere contro l'omosessualità è un diritto fondamentale»


In molti stati l'omosessualità è un reato, spesso perseguito e punito con la reclusione o anche con la pena di morte. In più occasioni all'Onu sono state state presentate delle risoluzioni per chiederne la depenalizzazione: nel 2006 la proposta venne sostenuta da 54 stati, nel 2008 da 68 stati ed ora 83 stati (la votazione si è tenuta proprio qualche giorno fa).
Premesso che nel documento non si parlava di diritti civili (come matrimoni o adozioni) ma solo di porre fine a discriminazioni e ad atti di violenza nei confronti della comunità gay e lesbica anche negli 80 Paesi al mondo che attualmente la perseguitano penalmente, il Vaticano si è contraddistinto per la sua netta opposizione alla proposta.
L'omofobia della Santa Sede non è certo una novità (note sono alcune dichiarazione di alti prelati, come il monsignor Babini che giustificava i pestaggi ai danni dei gay o il vescovo di Grosseto che voleva negar loro la comunione), ma stupisce come in questo caso si sia andati addirittura all'attacco di chi supporta la fine delle violenze ai danni della comunità gay.
L'Arcivescovo Silvano Tomasi, dell'Osservatorio Permanente del Vaticano presente alle Nazioni Unite, ha dichiarato: «La gente viene attaccata perché prende posizione contro le relazioni fra persone dello stesso sesso... quando esprimono dei pareri del tutto normali basati sulla natura umana vengono stigmatizzati, e ancor peggio, perseguitati e sviliti [...] Questi attacchi sono una chiara violazione dei diritti umani fondamentali e non possono essere giustificati in nessun caso [...] Questo vittimismo furbo vorrebbe far passare per martiri i carnefici. Nessuno nega il diritto alla libera opinione, ma quando si pretende di scendere nell'agone politico, ingerendo nelle legislazioni statali e condizionando le scelte politiche degli stati, si deve essere pronti a ricevere delle legittime critiche, senza invocare una "lesa maestà" che suona grottesca».
Seguendo il suo discorso, però, si potrebbe pensare che sostenere una qualsiasi persecuzione a chi la pensa diversamente da noi sia da considerarsi un diritto fondamentale: secondo quella tesi, ad esempio, si potrebbe andare anche oltre e supporre che un governo contrario alla Chiesa abbia il diritto di far finta di nulla davanti alle persecuzioni dei cristiani in alcuni Paesi (eppure in quel caso la Santa Sede ha un'opinione ben diversa!).
Insomma, se il diritto alla propria identità e al proprio pensiero non è predominante rispetto a quello di critica o di immobilismo davanti a quel diritto negato, il rischio è quello di far prevalere un'ipotesi surreale e pericolosa secondo la quale il diritto di odiare ed ostacolare chi è diverso da noi sia un diritto fondamentale. Inoltre questo atteggiamento pare anche un po' stonare con il messaggio di amore universale che dovrebbe animare la politica della Santa Sede: in fondo Gesù diceva «Amatevi l'un l'altro come Io vi ho amato» e non «Lasciate che gli altri uccidano chi la pensa diversamente da voi».
Perché un conto è pensarla diversamente, un altro è lasciare volutamente che la gente venga incarcerata o uccisa perché non vivono la loro vita come altri ritengano sia giusto, nonostante questo non possa in alcun modo fare del male ad altri.
Leggendo certe affermazioni sembra quasi che ci sia ancora il tribunale dell'inquisizione e che semplicemente sia abbia piacere a constatare che qualcun altro sta facendo il "lavoro sporco"...
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