Perché offendere un gay non è reato?


«Perché offendere un gay non è reato?». È questa l'ultima domanda affidata a Facebook dal giovane 21enne che si è suicidato a Roma nei giorni scorsi. Se molti giornali si sono affrettati a precisare che il ragazzo non aveva problemi con la sua omosessualità e che probabilmente il motivo è da ricercarsi altrove, quella domanda merita comunque una risposta, indipendentemente dai motivi del tragico gesto.
Chi avesse segnalato a Facebook i commenti di quanti hanno risposto alla notizia rivolgendo insulti omofobi al giovane, probabilmente avrà ricevuto un messaggio in cui si sosteneva che quegli insulti non violano le regole della community. Esattamente come è successo a quanti hanno segnalato le prese di posizione della signora Brambilla. Ed è proprio da qui che vale la pena partire per una riflessione.
Da mesi quella donna continua a pubblicare notizie falsate e immagini volutamente tendenziose volte ad offendere i gay in quanto tali. Sostiene di essere una psicologa (nonostante none stiano prove visto che è lei stessa a dichiarare di usare uno pseudonimo) ed usa quel titolo accademico per affermare che i gay possano essere "curati" (anche se contattarla per avere informazioni del suo presunto studio di "terapie riparative" appare impossibile). I suoi "studi" le consentirebbe anche di affermare che i gay sono «deviati», «anormali», perlopiù pedofili e certamente destinati all'inferno. Non mancano anche commenti in cui si afferma che i ragazzi aggrediti a causa della loro omosessualità hanno la metà della colpa (a causa del loro essere gay), così come recentemente si è attivata per portare in Italia i gruppi neonazisti russi e spagnoli, noti alle cronache per le loro aggressioni ai danni di ragazzi gay (seppur dietro la scusa della pedofilia con tanto di finte confessioni estorte a forza) che hanno provocato torture e morte a decine di adolescenti.
Riguardo alle sue attività, una sua collaboratrice (o forse un profilo falso utilizzato per auto-legittimare le proprie tesi) afferma: «Che Dio benedica Lei e tutte queste meravigliose persone che quotidianamente si battano contro questi deviati che vogliono portare il mondo nell'abisso senza fondo».

Ma che c'entra l'attività di questa attivista anti-gay con il discorso iniziale? C'entra. C'entra perché la signora Brambilla (o il gruppo che si cela dietro il suo pseudonimo) è una di quelle persone che utilizzano incessantemente Internet al solo fine di insultare i gay e di alimentare la disinformazione e la discriminazione nei loro confronti. C'entra perché nella sua attività rientra anche l'insulto di chi pubblica commenti pro-gay (si in gruppi lgbt che dichiaratamente omofobi). Ma soprattutto c'entra perché le persone insultate si sentono abbandonate ed impotenti davanti alla sua violenza.
Da mesi decine di persone hanno segnalato a Facebook i suoi contenuti, ma il social network pare aver sempre deciso di difenderla (al punto che tante persone hanno scelto di subire in silenzio, senza più segnalare alcunché dato la legittimazione da parte di Facebook risultava spesso più offensiva dell'insulto stesso). Molti hanno provveduto a contattare l'Ordine degli Psicologi per chiedere una verifica del titolo sbandierato (su cui molti nutrono dubbi), ma al momento nulla è cambiato. C'è evidenza anche di tante segnalazioni alla Polizia Postale, ma anche da quel fronte non si sono ancora viste conseguenze tangibili.
Decine di persone si sono così organizzare in un gruppo creato al fine di contrastare quella continua diffamazione, scegliendo recentemente di contattare il programma televisivo Le Iene. A quanto pare la redazione della trasmissione avrebbe raccolti l'invito (a comunicarlo è la stessa signora Brambilla sul suo profilo) e curiosamente la sua pagina pare ora essere stata "ripulita" dalla maggior parte dei post più inaccettabili.
A questo punto la domanda viene spontanea: non dovrebbe essere lo stato e non un programma televisivo a garantire che la dignità dei gay non venga quotidianamente calpestata? Non è forse illegittimo utilizzare titoli accademici per sostenere tesi anti-scientifiche diffamatorie e inneggianti alla violenza? Com'è possibile che una rete televisiva faccia più paura di una serie di segnalazioni ad enti ed istituzioni?
Domande destinate a rimanere senza risposta, a fronte di centinaia di persone che quotidianamente subiscono violenza verbale su Internet per il solo fatto di esistere, senza che lo stato si preoccupi di quei cittadini di serie b (e qui si parla solo di rispetto delle regole, non certo di pene detentive aggiuntive come quelle da loro ipotizzate per chi contesta un politico, ndr). Insomma, Perché offendere un gay non è reato?
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