Secondo il partito di Adinolfi, non ha senso perdere tempo a garantire dignità alle minoranze

È Giovanna Arminio a farsi portatrice di una petizione della Manifest pour tous volta a chiedere alle istituzioni abbandonino immediatamente qualsiasi piano di contrasto alla discriminazione basata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. Ovviamente siamo dinnanzi ad una delle solite posizioni ideologizzate legate alle solite note lobby dell'integralismo organizzato, così come dimostra il fatto che lei risulti una redattrice de "La Croce" di Adinolfi e di "Provita", nonché un esponente altoatesino del patito di Adinolfi. Ma ad interessarci particolarmente sono le teorie che lei e che il gruppo guidato da Filippo Savarese hanno il coraggio di sostenere.

Per comprendere la gravità di certe affermazioni è necessario fare un passo indietro. «La Rete RE.A.DY nasce nel 2006 su iniziativa di un gruppo di amministrazioni locali e regionali che definiscono e sottoscrivono una Carta d’Intenti. La Rete si propone di favorire politiche locali di parità rispetto all'orientamento sessuale e all'identità di genere e diffondere buone prassi sul territorio nazionale». Non siamo dunque dinnanzi a vaghe allusioni, ma dinnanzi ad obiettivi precisi che vengono dichiarati nero su bianco, come le «azioni volte a promuovere l'identità, la dignità e i diritti delle persone lgbt e a riconoscere le loro scelte individuali e affettive, nei diversi ambiti della vita familiare, sociale, culturale, lavorativa e della salute».

Ed è attraverso una lettura ideologizzata e ricolma di inesattezze che la donna si lancia nel sostenere che le amministrazioni pubbliche dovrebbero recedere dai loro impegni perché la pari dignità dei cittadini è da lei intesa come una "opinione" che può essere contrastata da chi sostiene di valere più degli altri. Ed è scomodando addirittura la Costituzione che il loro documento afferma:

La rete RE.A.DY mira, per i suoi contenuti, all’accettazione sociale di opinioni assolutamente legittime ma che sono in palese contrasto con quelle di chi voglia tutelare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, (art 29 della Costituzione), il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà e il diritto dei genitori di educare liberamente i propri figli. In giro per l’Italia l’attuazione dei progetti portati avanti dalla rete ha portato tra l’altro alla sponsorizzazione di corsi sulla cosiddetta identità di genere, ovvero quella teoria per cui l’identità sessuale umana è fluida e può mutare nel corso del tempo a seconda delle sensazioni dell’individuo.

Al di là della semplificazione criminale con cui si spiega il concetto di identità sessuale, grave è il voler sostenere che la dignità e i diritti delle minoranze un qualcosa da cui si possa dissentire. Il tutto in qual quadro propagandistico che mira a creare una inesistente separazione attraverso il sostenere che la Costituzione prevederebbe un non meglio precisato invito implicito a ritenere che gli affetti degli eterosessuali valgano più di quelli degli omosessuali. Il tutto citando un testo che, sulla base di un pronunciamento della Consulta, impone al governo il riconoscimento della vita famigliare dei gay.

Ma è poi nel proseguo che si inizia a sostenere che i diritti spetterebbero solo alle maggioranze e che i gay, in quanto minoranza, non meriterebbero neppure di essere presi in considerazione:

Riteniamo che per le pubbliche amministrazioni sia doveroso mettere in atto politiche che tutelino le persone dalle discriminazioni che si possono manifestare per i più svariati motivi (religiosi, estetici, di orientamento sessuale, di nazionalità ecc.), senza la necessità di aderire, o meglio di cadere in “reti” che distraggono fondi pubblici e tempo prezioso per le attività a nostro avviso assai ideologiche di una minoranza molto influente, e ovviamente del tutto rispettabile, della comunità.

Si scopre così che la difesa della dignità delle persone sarebbe «un'attività ideologica» e si finisce nella più bieca dialettica nell'accomunare le discriminazioni religiose e di nazionalità a quelle basate sull'orientamento sessuale. Già, perché a scrivere quelle cose sono proprio quelle stesse persone che hanno impedito che la legge Reale Mancino (che oggi tutela la discriminazione su base religiosa e di etnia) potesse essere estesa anche a tutelare l'orientamento sessuale.
Siamo dunque dinnanzi a chi cambia parere e scrive frasi che contrastano con le loro precedenti affermazioni al solo fine di trovare un qualche pretesto che di volta in volta possa danneggiare la dignità e la vita delle persone lgbt sulla base dei loro più perversi pregiudizi. E se forse non ci si poteva aspettare nulla di diverso da parte di un un partito che come slogan ha scelto una frase volta a sostenere che loro debbano venire prima degli altri, pare comunque inaccettabile che simili proposte possano anche solo essere prese in considerazione da chi ha giurato su una Costituzione che sancisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».


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