Adinolfi attacca la democrazia: «Io più legittimato a parlare della Giannini»


«Giudico il ministro molto arrogante». È quanto afferma da Mario Adinolfi a poche ore dalla presa di posizione del ministro dell'Istruzione contro la bufala gender. Forse impaurito nel veder scoppiare la bolla si sapone su cui ha costruito il sui business, Afindolfi spergiura che la fantomatica «ideologia gender» esista e che lui ne sia stato testimone:

La preoccupazione di milioni di famiglie che contestano la teoria gender non è la preoccupazione per l'asino che vola. Sono cose vissute sulla pelle. Io ho due figlie e sono stato testimone di corsi contro il bullismo, contro la discriminazione etc. che poi inevitabilmente si rivelavano essere luoghi in cui si affermava come naturale l'omogenitorialità, l'uguaglianza tra il maschile e il femminile, si esaltava omosessualità e transessualità, si sosteneva che il "genere" possa essere un abito da indossare distinto dal sesso biologico e scelto a piacere tra infinite sfumature e così via».

Ci sarebbe da chiedergli in quali scuole abbia iscritto le figlie, ma purtroppo sappiamo bene che non tollera gli si chieda contro delle sue affermazioni e chiunque osi farlo rischia poi di subire minacce di morte. Ma tornando al discorso di Adinolfi, l'uomo si lancia nel sostenere:

L'ho già scritto sui social: se lei minaccia querele, io mi autodenuncio, il ministro arresti me per primo. Io ero su quel palco il 20 giugno scorso per denunciare esattamente quello che lei afferma non esistere, cioè il rischio che l'ideologia gender dilaghi nelle scuole.

Poi, ovviamente, la colpa viene fatta ricadere su altri. Dice che le sue teorie sono tutte di Bagnasco e del Papa e rivendica che la Repubblica Italiana non debba permettersi di essere laica se qualcuno strumentalizza quanto viene detto dal Vaticano:

Le stesse cose le ha dette Angelo Bagnasco, capo della Chiesa italiana, riverberando le parole anche più dure pronunciate da Papa Francesco in cui il Santo Padre ha parlato della famiglia uomo-donna-figli definendola "come Dio la vuole" e mettendo in guardia dalla "colonizzazione ideologica" che il gender compie a partire dalle scuole. Si può certo raccontare che il Papa e Bagnasco siano truffatori, ma io continuo a ritenerli più autorevoli del ministro Giannini.

Ma a farci capire la falsità di quella posizione è come il discorso non miri neppure a rispondere al ministro. Nonostante non esista alcuna «ideologia gender» che miri a desessualizzare i bambini, il ministro ha semplicemente detto che non c'è nulla di tutto ciò nelle scuole italiane. Citare qualcuno per sostenere qualcos'altro è un atteggiamento che si commenta da sé.
Il Papa infatti non ha mai proposto un referendum con cui abolire una norma che tutela i ragazzi dalla violenza di genere, così come non ha mai fatto alcun riferimento al comma 16 della riforma della scuola per chiedere che si rinunci a prevenire la violenza sulle donne. Chi dice tutto questo è lui, non il Papa.

Adinolfi non manca poi di lanciarsi nelle sue solite mistificazioni ed afferma di non accettare uno stato in cui il procurato allarme comporti delle responsabilità personali. «Questo è il loro atteggiamento -dice- è la logica del ddl Scalfarotto: io ti arresto se tu contesti che due uomini possono generare un figlio. La discussione viene posta sul piano dell'intimidazione».

Ma il passaggio forse più assurdo è quello in cui si lancia nell'affermare: «Io non so da dove tragga legittimazione la Giannini -afferma- a San Giovanni eravamo un milione dietro allo striscione “No al gender nelle scuole”. Noi traiamo da loro un mandato e una legittimazione. Qual è invece il mandato e la legittimazione di una nominata, senza più partito, che ha cambiato casacca varie volte? Credo proprio che il ministro debba come minimo chiedere scusa».
peccato che i voti che hanno portato in Parlamento la Giannini siano stati espressi da persone reali, non certo da chi afferma di essere un milione a fronte di una piazza che non poteva contenere più di 300 mila persone (peraltro per stessa ammissione di Kiko Arguello).
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